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Chi ha detto che è vietato avere paura?

Nel mondo del Motorsport, è quasi un tabù. La parola "paura" è completamente bandita dall'ambiente, è un'emozione che è vietato esprimere, da non considerare, da mettere nel libro dei "cattivi", è qualcosa da evitare, e se non fosse possibile, allora meglio fare di tutto per nasconderla.

Però a me quando chiedono se mai mi capita di avere paura, ahimè, non riesco a mentire, perché a volte succede, e non ci trovo nulla di male.

Ci sono diversi tipi di paura che un pilota incontra sul suo percorso. Per caritá, non conosco tutti i piloti del mondo, ma credo che da certi incontri spiacevoli non si sia salvato nessuno, almeno una volta nella vita.

C'è la paura di non soddisfare le aspettative altrui, la paura di non riuscire ad ottenere il risultato, la paura di distruggere la macchina, di buttare all'aria una gara, la paura di non riuscire a controllare la macchina in quella dannata curva, che il tuo compagno di squadra fa più forte di te, da tutto il weekend.

Vi dirò la verità, la paura della velocità credo che per un pilota non possa esistere, perché tante volte io stessa mi rendo conto che la mia percezione e concezione di velocità è totalmente distorta. Ma tante altre paure esistono e, se entrano in macchina con te, allora sì, possono fare danni. Mi spiego meglio.

Quando un pilota guida una macchina da corsa, condizione fondamentale per andare forte é che il suo cervello vada in una momentanea condizione di "stand-by": non c'è spazio né tempo per pensare, ci si deve alienare da qualsiasi componente esterna, la concentrazione va diretta esclusivamente sulla macchina, le sensazioni di guida, l'asfalto, le curve. É come entrare in una sorta di trance. E qui la paura, di qualsiasi natura essa sia, non deve intervenire assolutamente, perchè se quell'area di cervello rimane accesa, allora non c'è Schumacher che tenga, anche la sua performance avrebbe qualche sbavatura.

Quando ho vinto la mia prima gara importante, Monza '13, davanti a 30.000 spettatori, contro 29 piloti come Johnny Herbert, Gianni Morbidelli e Thomas Biagi (solo per citarne alcuni), non mi sono neanche accorta della bandiera a scacchi e ho continuato a tirare come fosse il primo giro. Ne erano passati 17, ma io non me n'ero accorta.

Da quel giorno ricerco continuamente quella condizione, l'unica possibile per raggiungere grandi risultati. Ogni tanto ci riesco, ogni tanto purtroppo no.

Di piloti bravi ce ne sono tanti, quelli che sanno vincere sono molti meno, e sono proprio quelli che, pur essendo pieni di paure, hanno sviluppato la capacità di lasciarle fuori dal casco e se le dimenticano, lasciando lo spazio al loro solo talento.

Per il cervello di una donna, e qui so di trovare ampio consenso da parte del pubblico femminile, fermarsi è un problema molto più grande, perchè noi pensiamo tanto, troppo a dir la verità, e ci incastriamo a volte in problemi inesistenti, siamo sempre attente a far le cose per bene, ci piace fin troppo avere conferme dall'esterno riguardo a ciò che facciamo. Adoriamo i complimenti, detestiamo le critiche.

Tutto ciò in macchina è deleterio, e in questo senso a me tocca fare lavoro doppio rispetto ad un uomo, perchè vi assicuro che spegnere il cervello e non pensare a nulla è la sfida più difficile che mi sia trovata ad affrontare in questi pochi anni di esperienza. Ma quando succede, il successo è assicurato.

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