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Economia

Obbligazioni subordinate: cosa sono e cosa può fare chi le ha

Circa 800 milioni di euro, di cui quasi 350 milioni sarebbero in mano a piccoli investitori privati. Ecco i numeri che definiscono l'ennesimo episodio di risparmio tradito made in Italy, emerso nelle ultime settimane. Si tratta del crack delle 4 banche locali (Banca Marche, Banca Etruria, Carife, e Carichieti) salvate dal governo Renzi con un decreto ad hoc, che però non ha affatto risolto tutti i problemi. Anzi, il peggio deve ancora venire per migliaia di risparmiatori italiani (soprattutto delle regioni del Centro) che hanno investito nelle obbligazioni dei 4 istituti finiti nel dissesto.


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Si tratta, nello specifico, di una particolare categoria di titoli:  i bond subordinati che le banche fallite hanno collocato a man bassa negli anni scorsi, per un totale che sfiora appunto gli 800 milioni di euro. Le obbligazioni subordinate, come tutte le obbligazioni, sono dei titoli rappresentativi di un debito, che consentono a chi le acquista di diventare creditore dell'istituto emittente, incassando periodicamente degli interessi: le cedole. Rispetto ai bond ordinari, però, quelli subordinati espongono i risparmiatori a un grado di rischio molto più elevato, simile a quello assunto di chi acquista un'azione. In caso di fallimento della banca emittente, infatti, i titolari delle obbligazioni subordinate sono considerati dei creditori di serie B, i cui diritti patrimoniali possono essere soddisfatti soltanto dopo aver risarcito altri soggetti come i dipendenti della banca, i correntisti o i sottoscrittori dei bond ordinari.


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Proprio per questa ragione, oggi il crack dei 4 istituti si è trasformato in un nuovo episodio di risparmio tradito. Il decreto salva-banche approvato dal governo ha infatti cambiato i connotati ai 4 istituti, attraverso un'operazione complessa. In pratica, c'è stata la creazione di 4 nuove banche-ponte che hanno ereditato dalle vecchie soltanto le attività “in salute”. Contemporaneamente, si è decisa la costituzione di una bad bank comune, cioè un'unica società in cui sono confluiti invece i crediti deteriorati di tutti e 4 i vecchi istituti, che verranno poi messi in liquidazione. Si tratta dunque di un fallimento pilotato che, come tutti i fallimenti bancari, ha appunto lasciato sul campo due categorie di vittime: circa 130mila azionisti e 20mila possessori di obbligazioni subordinate, trasformatesi all'improvviso in carta straccia. Cosa possono fare, dunque, tutti questi risparmiatori traditi?


La soluzione politica

Sul tavolo del governo, c'è una soluzione politica che prevede la creazione di un fondo di solidarietà, finanziato in minima parte da soldi pubblici e per una quota maggioritaria dal resto del sistema bancario. Le risorse disponibili con questo meccanismo sarebbero però nell'ordine di soli 100-120 milioni di euro, che basterebbero soltanto a coprire una piccola fetta delle perdite di 350 milioni di euro incassate dai sottoscrittori dei bond subordinati. Ecco dunque che si stanno facendo strada diverse ipotesi. La prima è che venga stabilito un tetto massimo di 50mila euro per gli eventuali indennizzi ai risparmiatori traditi. La seconda ipotesi è che gli investitori rimasti beffati, oltre a un parziale indennizzo, ricevano nei prossimi anni un credito di imposta sull'irpef per le somme (totali o parziali) che hanno perso.


Cause in tribunale

In attesa di vedere cosa farà il governo, la strada battuta da molti risparmiatori sarà probabilmente quella di sempre: far causa in tribunale contro i responsabili del crack, come ha già fatto chi è incappato negli scandali finanziari degli anni scorsi, dal fallimento di Cirio a quello di Parmalat fino al tracollo della Repubblica Argentina e dei suoi bond. In questi giorni, si stanno muovendo parecchie associazioni come l'Adusbef, la Federconsumatori, il Codacons e il sindacato di tutela dei risparmiatori Siti. Non è ancora ben chiaro, tuttavia, quali società saranno il bersaglio di eventuali azioni civili per chiedere un risarcimento. Con molta probabilità, gli indennizzi verranno pretesi dalle nuove banche che hanno ereditato le attività sane dei 4 istituti falliti ma c'è anche chi ipotizza un procedimento contro la nascitura bad bank in cui confluiranno i crediti deteriorati. Oppure, l'Adusbef non esclude addirittura una iniziativa contro Bankitalia, colpevole di non aver vigilato abbastanza sul dissesto finanziario dei 4 istituti.


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Per adesso, tutti i promotori delle azioni chiedono ai risparmiatori di aderire in via preliminare alle loro iniziative, inviando una copia dei contratti sottoscrizione delle obbligazioni subordinate, oltre ad altri documenti come le schede e le note informative dei prodotti finanziari acquistati. Senza dimenticare, poi, l'invio del questionario di profilatura della clientela, che dovrebbe essere stato compilato in base alla  Mifid (la direttiva europea che vieta di vendere strumenti d'investimento rischiosi e complessi a chi “mastica” poco di finanza). Gli avvocati dei risparmiatori avranno infatti buon gioco se riusciranno a dimostrare che le obbligazioni subordinate sono state piazzate dalle banche (magari in maniera truffaldina) nel portafoglio di persone che prima investivano soltanto i prodotti a basso rischio come i titoli di stato o i conti di deposito. A maggior ragione, i risparmiatori potranno rivendicare il diritto a un rimborso se sono stati convinti a destinare ai bond subordinati una quota molto rilevante del loro patrimonio finanziario complessivo, in barba a qualsiasi logica di buon senso che impone di diversificare il più possibile gli investimenti. Va ricordato, però, che i tempi di queste azioni civili non saranno brevi. Come fu nel caso dei crack di Cirio, Parmalat o dell'Argentina, ci vorranno purtroppo mesi o anni per ottenere i primi risarcimenti.


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