Netflix, dietro le quinte del gigante dello streaming

da Los Angeles e Los Gatos

Coerente con lo spirito del vicinato, il distretto più celebrato al mondo di teatri di posa e centri di produzione, la sede di Hollywood di Netflix trabocca di barocchismi ed effetti speciali: pareti di megaschermi nell’atrio e un orto verticale oltre l’ingresso; un cinema privato con impianto audio fantascientifico e annesso carrellino dei pop-corn, un fitto bosco di studi televisivi nei capannoni accanto, gli stessi dove venivano realizzati i cartoni Looney Tunes, quelli di Bugs Bunny, Daffy Duck e strampalata, chiassosa compagnia. Ci sono tre Tesla e una Maserati nel parcheggio dei dirigenti, mentre souvenir dalle serie venerate dal pubblico sbucano ovunque, trasformando ogni piano, persino un banale corridoio, in un luna park per fan: ecco l’armadietto di Hannah Baker di Tredici, incorniciato da foto, post-it e cuoricini tracciati a pennarello; un murales di Frank e Claire Underwood di House of cards, entrambi con lo sguardo livido e torvo di sempre, i cuscini di The crown e la sala riunioni dedicata a San Junipero, l’episodio più romantico e struggente di Black mirror.

Work in progress

In questa galassia di rimbalzi tra fiction e reale, di salti spaziali tra cemento e celluloide, lavorano 1.500 persone. Sono loro a decidere i prossimi contenuti di un catalogo riprodotto, in media, per 140 milioni di ore al giorno. A ingaggiare talenti e vagliare copioni, a scegliere le videocamere per girare le puntate, affinché i colori delle scene siano il più possibile realistici; a studiare metodi per far rendere l’audio a meraviglia, anche quando si consuma un episodio con le cuffiette a bordo di una metropolitana. Qui, girovagando tra salette imbottite di microfoni, un tecnico rivela che giusto i dialoghi vengono catturati sul set. Il resto, persino i passi degli attori, sono registrati in post-produzione. Pura ingegneria dei sogni.

Dentro Netflix

Marco Morello
La vista dalla terrazza della sede di Los Angeles.

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Parata di dispositivi nella sede di Hollywood. Rappresentano la sua piena compatibilità con qualsiasi tipo di schermo.

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L'ingresso della sede di Hollywood.

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Alcuni premi Emmy esposti all'ingresso.

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L'armadietto di Hannah Baker di 13

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Distributore gratuito di caramelle e mandorle.

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Bibite a disposizione di tutti in una delle aree ristorazione.

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Una postazione per tarare i colori delle immagini delle produzioni.

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Uno degli studi di registrazione di Netflix a Hollywood.

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Un souvenir dalla serie di culto Stranger Things.

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Murales con i personaggi di Stranger Things.

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Murales con le protagoniste di San Junipero, episodio di Black Mirror.

Sponda Bay Area       

Un’ora di aereo e si atterra a San José, a sud di San Francisco. Venti minuti d’automobile e siamo a Los Gatos, dentro l’altro quartier generale, nel ventre chic della Silicon Valley. I vicini di casa non si chiamano Warner, Fox o Universal, ma Apple, Google e Facebook. Che assieme ad Amazon e a Netflix formano quello che a Wall Street hanno strizzato nel termine «Faang», l’acronimo delle cinque superpotenze tecnologiche mondiali. Perché la creatura di Reed Hastings, prima di essere un’azienda d’intrattenimento, si regge sui bit: dal 2000, da quando ancora permetteva di scegliere dvd da un catalogo on line e farseli spedire a casa, analizza le scelte e le valutazioni degli abbonati, cosa riproducono, scartano o abbandonano durante la visione, per proporre a ciascuno contenuti adatti ai suoi gusti. La formula segreta di Netflix scorre nel suo algoritmo: si specchia in una home page di titoli che evolve imparando a conoscere cosa ci piace. Arrivando a mettere la foto di questo o quell’attore nella locandina di una serie, se abbiamo apprezzato altri suoi lavori in precedenza; dividendo i programmi in categorie talmente specifiche, che in un dato momento possono comparire anche ad appena lo 0,5 per cento degli iscritti. Una bussola indispensabile per non naufragare in un oceano di migliaia di alternative.

Non il solito copione

Nella cittadella di Los Gatos, una scacchiera di palazzine basse che assorbono luce dai giardini esterni attraverso immense vetrate, si alternano 2 mila persone. Quando e per quanto vogliono, perché le vacanze sono illimitate: ognuno decide il numero dei giorni da dedicare al riposo o a centrare gli obiettivi assegnati. E non s’incrocia la solita scenografia dei campus della Bay Area: nessun biliardino, console per tuffarsi nella realtà virtuale o tonfi di palline sui tavoli da ping pong. «Non siamo una start-up di ragazzini, anziché giocare preferiamo finire il lavoro e tornare a casa dalle nostre famiglie» spiega chi ci accompagna. Abbondano giusto gli angoli ristoro che servono pasti, bibite e snack a costo zero, in quantità illimitate e, come in Facebook, distributori di tastiere, adattatori, cuffie, materiale elettronico assortito. Gratis, ma con il cartellino del prezzo stampigliato sotto: un monito a farne uso con intelligenza.    

L’ossessione per la perfezione

Alcuni laboratori sono blindati: la società riceve in anteprima prototipi di telefonini e televisori per assicurarsi che siano compatibili con la sua app. In generale, si respira l’assillo della perfezione: la missione è che il servizio sia disponibile nel 99,99 per cento dei casi in cui gli utenti intendono utilizzarlo; nel 2017 è stato sfiorato il traguardo: 99,97 per cento. Sotto riflettori identici a quelli degli studi televisivi, uno dei rari richiami all’universo patinato di Los Angeles, gli ingegneri orchestrano la compressione dei dati, senza scalfire la qualità: prima, con un consumo di 4 gigabyte, si aveva accesso a 10 ore di streaming; ora siamo saliti a 26. Ma l’ambiente più suggestivo rimane la «war room», una schiera di schermi allineati su due file che si guardano. È il centro di controllo in cui, a mezzanotte in punto (fuso orario della California) vengono pubblicati on line, per intero, le nuove stagioni delle serie, i film, i documentari, i cartoni animati. Una sequenza rapida di clic e raggiungono simultaneamente 117 milioni di abbonati, confluiscono in 300 milioni di singoli profili. La tv globale senza antenne trasmette da qui, da una stanza di computer in un angolo periferico d’America.

Le curiosità. Dove gli italiani guardano Netflix.

54 per cento – Sulla tv.

23 per cento – Sul computer.

13 per cento – Sullo smartphone.

10 per cento – Sul tablet.

Lessico Netflix.

90 per cento – Gli utenti globali che fanno «binge watching», guardano cioè più di un episodio alla volta delle loro serie preferite.

43 per cento – Gli utenti italiani che si macchiano di «cheating»: promettono di seguire una serie con qualcuno, poi lo fanno di nascosto da soli. L’81 per cento ammette di essere recidivo.

39 per cento – I genitori italiani che almeno una volta al giorno fanno «sneaking»: guardano le serie di nascosto dai loro figli.

«Breaking bad» e «Atypical» - Le due serie più viste per intero dagli italiani entro le 24 ore dalla disponibilità sulla piattaforma di una nuova stagione. Questo consumo rapidissimo ha un nome: «binge racing».

Questo articolo è stato pubblicato su Panorama numero 15 del 29 marzo 2018 con il titolo “Negli studios della tv globale”.

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