MotoGP, intervista a Johann Zarco: "La prima vittoria? Non c'è fretta"

Johann Zarco, francese, 27 anni, corre nel team Monster Yamaha Tech 3 esta disputando un campionato strepitoso. La classifica parla: è il miglior rookie della stagione. Sesto nel Mondiale alle spalle dei colleghi "ufficiali" (in ordine sparso) Andrea Dovizioso (Ducati), Marc Márquez e Dani Pedrosa (Repsol Honda), Valentino Rossi e Maverick Viñales (Movistar Yamaha), e davanti al tre volte campione del mondo Jorge Lorenzo (Ducati), è il primo pilota di una squadra privata nel ranking.

"Non immaginavo di andare così forte a inizio stagione; subito, però, mi sono reso conto che la M1 dell'anno scorso aveva grandi potenzialità e mi sono messo a lavorare sodo. Perché, se la moto è buona, spetta al pilota aggiungere tutto quello che serve per finire sul podio". Il campione del mondo di Moto2 nel 2015 e 2016 comincia con queste parole a raccontare il suo debuto nella MotoGP.

L'impegno paga: il podio è arrivato presto, alla quinta gara.

Non una gara qualsiasi, tra l'altro: il GP di casa. A Le Mans mi sono piazzato secondo: cosa avrei potuto desiderare di più?

La vittoria, forse?

Se non è ancora arrivata, un motivo ci  sarà. Io sono bravo ad aspettare, ho conquistato il primo titolo mondiale a una certa età: 25 anni.

In cos'altro sei bravo?

Mi adatto facilmente alle situazioni; i cambiamenti non mi spaventano e sono sempre pronto a rischiare. Senza esagerare: prendo le decisioni dopo aver valutato pro e contro.

Sei un tipo saggio, insomma, e poi?

Sono tranquillo, sereno e contento di vivere da tre anni un sogno: due Mondiali in bacheca e un buon esordio nella classe regina non sono risultati facili da raggiungere.

Quando diciamo "pilota", pensiamo subito a uno scavezzacollo: il contrario di te.

Eppure sono convinto che per andare in moto bisogna avere autocontrollo, conoscere i propri limiti. Chi è troppo agitato non è adatto a infilare il casco.

Sei sempre stato calmo?

Sì, e anche un po' pauroso; ho preso coraggio e fiducia in me stesso crescendo.

Da piccolo sognavi di andare in pista?

No, tutt'altro. Un giorno mia madre mi domanda cosa vorrei fare da grande: "Qual è il mestiere che fa guadagnare di più?" le chiedo. E lei: "Il presidente della Repubblica". "Allora farò quello" rispondo.

Invece hai scoperto le moto.

A 9 anni e intorno ai 15 avevo le idee chiare: il mio futuro sarebbe stato nel paddock, altro che Eliseo.

Se non fossi pilota?

Avrei tentato comunque la carriera sportiva: mi piace molto allenarmi, soprattutto in bici, e mi diverto a giocare a tennis.

Ti immaginavi così la MotoGP?

Più meno: mi ha sorpreso la potenza esagerata dei prototipi e non credevo servisse tanta forza per guidarli.

Sei la rivelazione del Mondiale: riesci a gestire la pressione?

Sì, era peggio l'anno scorso: campione del mondo in carica, ero il pilota da battere della Moto2. Nella classe regina, invece, non ho niente da perdere, sono uno dei nuovi arrivati.

Come ti prepari ai Gran Premi?

Cerco di stare calmo: mi isolo per e ascolto un po' musica, tutto qui. Non mi affido a tecniche di concentrazione: ormai ho una certa esperienza sulla griglia di partenza e mi basta quella per affrontare i GP.

Quando torni a casa, cosa fai?

Arrivo di lunedì e sto in relax totale: non accendo nemmeno la lavatrice, a volte non apro neanche la valigia. Magari guardo una serie tv o suono il piano: non leggo le note, ma ho un buon orecchio e seguo quello. Niente musica classica, ovviamente, mi manca la tecnica, ma un giorno spero di trovare il tempo per studiare.

I weekend liberi come li passi?

Mi dedico alla scuola di moto per bambini che ho aperto ad Avignone, dove abito.

La prima lezione che insegni?

Muovere le chiappe sulla sella: i grandi piloti non stanno fermi un attimo. Ai ragazzi dico anche di non risparmiarsi, senza volontà non si va da nessuna parte, e di riflettere. Il cervello deve essere collegato anche a 300 km orari.

Hai la stoffa del team manager.

Non so se il ruolo mi piacerebbe: amo la moto perché corro. Anzi, non amo la moto, vivo per la moto: finita una gara, penso alla successiva. Nel momento in cui dovessi smettere, forse la passione diminuirebbe troppo per restare nell'ambiente. Per questo mi sa che continuerò a gareggiare fino a 40 anni: se fossi diventato campione del mondo a 17 anni, probabilmente mi stancherei prima, ma le soddisfazioni sono recenti e sfrutterò al massimo il tempo per togliermene altre.

Quella che ti ha entusiasmato di più?

Il secondo titolo. A ottobre, a Sepang, ho vinto gara e Mondiale e ho pianto: non avevo mai provato una gioia e una tensione del genere.

Hai un motto?

Sì, ce l'ho dall'anno scorso, non a caso: vivi il presente. Poi, quel che sarà, sarà.







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