Migranti: le armi in mano a Orban dopo il flop

Il primo ministro ungherese non ce l'ha fatta. Viktor Orban non è riuscito a convincere la maggioranza della popolazione a recarsi alle urne per votare contro una più equa distribuzione dei migranti voluta della Commissione europea. Risultato: il referendum del 2 ottobre da lui stesso indetto è stato invalidato.

Più del 98 per cento dei partecipanti ha rifiutato l'ammissione di 1.294 non ungheresi nel Paese ("una vittoria schiacciante" secondo il premier). Ma l'affluenza ai seggi di solo il 43,9 per cento della popolazione, molto meno del quorum del 50 per cento, ha vanificato l'operazione. E ciò a dispetto della campagna referendaria xenofoba e razzista più costosa nella storia ungherese.

Con questo referendum, Orban voleva farsi promotore di una "rivoluzione contro-culturale" in Europa, dove a una maggiore autonomia degli stati-nazione corrispondesse minore attenzione ai principi liberali e umanitari. Il risultato lo ha indebolito, ma lui non demorde.

L'incapacità di Orban di mobilitare gli elettori ha sorpreso tutti. Secondo il rappresentante del Partito socialista ungherese (Mszp), Tamás Harangozó, ben 52 milioni di euro sono stati spesi dal suo partito, Fidesz, per spingere la gente a partecipare al referendum e votare no al quesito.

"Una somma più alta di quella che il Regno Unito ha speso per la Brexit, se si includono le due campagne per il Remain e il Leave" scrive il portale atlatszo.hu. L'invalidità del referendum si traduce in un niente di fatto ma Orban ha deciso di negare l'evidenza. "L'unica cosa che importa a Orban" ha scritto il Budapest Beacon, "è che i voti contrari alla distribuzione delle quote siano maggiori di quelli a favore".

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