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Lifestyle

I migliori ristoranti in aeroporto in Italia e nel mondo

Devo ammetterlo, ho un vizio abbastanza serio: sono un accumulatore seriale di miglia. Un nomade incurabile, un viaggiatore compulsivo. Negli ultimi sette anni, tra svago e lavoro, ho collezionato (scali compresi) una settantina di passaggi negli Stati Uniti, 22 tra Asia e Medio Oriente, quasi duecentocinquanta in Europa. Tra coincidenze interminabili, ritardi puntuali, chiusure per scioperi, capricci del tempo e cause collaterali mai del tutto chiarite, ho trascorso più giorni in aeroporto di Tom Hanks nel film «The terminal». E, lo confesso, ho ingurgitato quantità vergognose di cibo spazzatura.

Novità al decollo

Qualcosa, però sta cambiando. Da affamato testimone, ho assistito a una provvidenziale metamorfosi. A un’evoluzione. Anzi, meglio, a una demolizione: di paninerie e pizzerie di dubbia salubrità, trasformate in rifugi per buongustai. A zone franche per calorie in libera entrata, riconvertite in saloni e angolini di buona cucina, dedicati a chi vuole mangiar bene anche dopo un volo o negli intervalli forzati tra un gate e l’altro.

Il tempo giusto

Con la giusta premura, senza ansie gonfiate dal timore di far tardi all’imbarco: «Il nostro obiettivo è modellare il pasto sulle esigenze dei viaggiatori. Assecondare l’attesa senza rinunciare al piacere» spiega a Panorama lo chef pluristellato Heinz Beck, che a Roma Fiumicino ha da poco inaugurato «Attimi». Un ristorante con tre menu a tempo, da 30, 45 e 60 minuti.

L'ingresso del ristorante Attimi a Roma FiumicinoAttimi

Sapori da asporto

Si sceglie in base alla finestra disponibile. Se è minima, c’è il servizio take away, a portar via, già sdoganato da un altro cuoco celebre, Gordon Ramsay, nel suo «Plane food» di Londra Heathrow: in sala trattamento da First class tra ricette molto british e incursioni etniche, oppure opzione picnic, espressa, a base di pesce, carne o vegetariana. Un cestino per fare invidia al vicino di posto alle prese con il pollo impregnato di salsa acidula o alla pasta scotta e collosa.

Scali stellati

Nell’approccio e nell’esecuzione delle pietanze, non c’è ormai nessuna differenza con un locale storico, magari affacciato su una piazza celebre o in un grande albergo del centro cittadino: «Gli spazi operativi» assicura Beck «sono stati pensati e strutturati per una cucina gourmet, al fine di garantire la massima coerenza a livello di preparazione e offerta. Ci vengono riconosciuti l’alta qualità e il vasto assortimento dei prodotti in un luogo, l’aeroporto, che fino a poco tempo fa non lasciava un’ampia scelta».

Pareri illustri

L’inversione di tendenza è evidente e trova conferme illustri. Il quotidiano New York Times manda i suoi reporter a intervistare lo chef globetrotter superstar Anthony Bourdain per sapere qual è lo scalo dove, a suo avviso, si coccola meglio il palato. Risposta, forse un po’ ovvia: Changi a Singapore. Ovvero, da cinque anni consecutivi, il numero uno sul pianeta nell’accreditata graduatoria stilata dalla società di ricerca Skytrax. Intanto, il colosso dei media Bloomberg incorona quello di «Kyotatsu» a Narita come uno dei sushi più deliziosi al mondo. Trovarlo nel labirintico terminal 1 del principale hub di Tokyo non è un’impresa: basta cercare una fila infinita.

Oltre i soliti noti

Maggiore persino di quella dell’Economy class per un intercontinentale su un gigante dei cieli. Mentre la sempre snob edizione americana di Vogue, poche settimane fa, esibiva un articolo dal titolo: «Copenaghen serve il miglior cibo in aeroporto?». Di sicuro è un ottimo candidato alla vetta: a guardare i capolavori sfornati da locali chic come «Aamans» e «Mash» o le proposte pronte di «Joe & the juice» o «Paté paté», l’acquolina in bocca è un riflesso irrefrenabile.

Alt ai pregiudizi

Insomma, dovrà ricredersi il settimanale The Economist, che a inizio 2016, in una spietata analisi, sentenziava: «Nothing gastro by the gate», non c’è gastronomia di livello nei pressi dei gate. Falso: qualità e varietà iniziano a essere una costante in aeroporto. Se non una regola, sarebbe utopistico sostenerlo di fronte alla resistenza delle catene di fast food internazionali, almeno una diffusa eccezione. Connotata da un corollario unico, irriproducibile altrove: la possibilità di mangiare con vista sul traffico della pista.

Il panorama del decollo

Succede nell’elegantissimo «Le chef» di Ginevra, che ha anche una terrazza protesa sull’andirivieni di decolli e atterraggi, come nel luminoso e curato «Michelangelo restaurant» di Milano Linate. presenza fissa nella guida Michelin, propone una cucina moderna con ossequio alla tradizione locale. «In carta, bisogna mantenere piatti che richiamino il luogo in cui ci si trova. Per i turisti, per esempio, è un modo per sentirsi ancora in vacanza» ricorda l’executive chef Michelangelo Citino, che accanto a quell’occasionale, ha ormai una robusta clientela di habitué in trasferta.

L'interno di Michelangelo restaurant a Milano LinateLuca Nava

«Imprenditori o dirigenti dal Nord al Sud Italia» racconta «che fanno qui le loro riunioni, senza nemmeno uscire dallo scalo. Ma anche viaggiatori frequenti che arrivano con largo anticipo sulla partenza, per il piacere di pranzare o cenare da noi». Come accade per assaporare il sushi di Narita a Tokyo e gli altri sfizi da terminal raccolti qui sotto, ognuno con un voto riferito all’offerta complessiva in aeroporto. Diventato, da luogo di passaggio, a meta per l’assaggio. Da parentesi mordi e fuggi, ad appagante destinazione gastronomica.

Assaggio all'aeroporto di Roma FiumicinoAutogrill

ROMA FCO

Il tiramisù di sua maestà Heinz Beck è indimenticabile come tante proposte del suo «Attimi». «Assaggio» di Autogrill (foto) ha in carta ricette della stellata Cristina Bowerman e nell’«Antica focacceria S. Francesco» il palato accarezza la Sicilia. Così, in mezzo a insegne dimenticabili, lo scalo capitolino vola alto nel gusto.   

VOTO 7

MILANO LIN

Il riso mantecato ai peperoni rossi con stracciatella di burrata, come le altre creazioni dello chef Michelangelo Citino del «Michelangelo restaurant», è una sicurezza. Per il resto, lo scalo lombardo non brilla per originalità. In compenso, c’è la qualità: a partire dai piatti del «Ferrari spazio bollicine». 

VOTO 7

SINGAPORE SIN

Con 85 alternative, Changi accontenta chiunque. «Imperial treasure» è il gemello di un locale cittadino stellato, «Orchid garden» a tema Hello Kitty diverte i piccoli. Ma la chicca è la «Staff canteen» dove mangia il personale: il cibo è sublime. 

VOTO 9

NEW YORK JFK

Non siete ancora sazi degli hamburger trangugiati tra Manhattan e Brooklyn? Oltre a una succursale dell’iconica catena «Shake shack», li cuoce la steakhouse «The palm bar & grille», valida per una bistecca accompagnata da un bicchiere di vino. Oppure, c’è la «Uptown brasserie» che spazia tra insalate, omelette e zuppe.

VOTO 7

PARIGI CDG

«I love Paris» dentro il Terminal 2E di Charles De Gaulle, creatura dello chef stellato Guy Martin, è probabilmente uno dei ristoranti più buoni, belli (e cari) mai aperti in un aeroporto. Salvando giusto la «Brasserie flo», il resto dell’offerta del principale scalo francese è però parecchio deludente.

VOTO 5

LONDRA LHR

Oltre a «Plane food» di Gordon Ramsay, «The perfectionists’ café» merita la sosta. Il fish & chips è «extraordinary», straordinario come il menu promette. È nel terminal 2, nei pressi dell’ottimo «The gorgeous kitchen».

VOTO 8

LOS ANGELES LAX

Il Pacifico vive nelle cromie di granchi, aragoste e gamberi di «Slapfish»: cucina di mare fantasiosa. Chi preferisce la terra, vada da «III Forks»; per i fan della pizza, sosta da «800°»: per essere in America, molto credibile. 

VOTO 8

E SE AVETE ANCORA FAME…

Nelle guide Lonely Planet delle varie destinazioni globali, alcuni quartieri, monumenti, attività o gite fuori porta, sono talmente tipici da guadagnarsi la definizione di «Vale il viaggio». Lo stesso si può dire per una serie di ristoranti in aeroporto, imperdibili se ci si trova negli scali che li ospitano. A cominciare dal pioniere del fenomeno: «Bubbles», che ad Amsterdam Schipol propone dal 2004 piatti di pesce accompagnati da una vasta selezione di bollicine. «Airbräu», a Monaco, è una tradizionale birreria tedesca dedicata ai ghiottoni di salsicce, pretzel e dintorni; più esotico «Maxim’s jade garden» a Hong Kong, che ripercorre l’essenza della cucina cantonese ed è venerato per i suoi dim sum, mentre a Dubai, snodo obbligato per tante coincidenze internazionali, la sosta giusta è da «The kitchen» dello chef Wolfgang Puck, che da 23 anni elabora il menu per le celebrità dopo ogni notte degli Oscar. A Vancouver, nell’hotel Fairmont proprio accanto alle partenze, ecco il celebre «Globe» che riassume il meglio dalle fattorie della zona. La prenotazione è molto raccomandata.

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