Michael Jackson: l'attualità del messaggio nelle sue canzoni

A undici anni dalla sua tragica scomparsa, avvenuta il 25 giugno del 2009 a causa di una dose eccessiva di Propofol somministrata colposamente dal suo medico curante Conrad Murray (poi condannato a quattro anni di reclusione), Michael Jackson è ancora oggi l'indiscusso re del pop, l'unico in grado di eccellere nel canto come nel ballo.

Ha lasciato un'impronta indelebile nella cultura popolare degli ultimi quarant'anni, percorrendo strade che nessuno aveva intrapreso, trasformando i video in film e innalzando il pop a forma d'arte. I suoi passi vengono insegnati nelle scuole di danza moderna, i suoi album vendono ancora milioni di copie e ogni anno il numero dei fan cresce in modo esponenziale. Jackson, che detiene il record sia per l'album più venduto di sempre, il capolavoro Thriller, che di maggior filantropo nella storia del rock (certificato dal Guinness dei Primati) con 400 milioni di dollari donati a 39 associazioni benefiche, è stato un precursore in tutti i sensi, un vero artista capace di raccontare lo spirito del suo tempo, o, meglio ancora, di anticiparlo, ponendo all'attenzione del mondo l'emergenza ambientale e il razzismo in canzoni "pop".

Per anni si è fatta una cattiva informazione su di lui, con una narrazione da parte dei tabloid (e non solo) faziosa, distorta e troppo spesso legata agli aspetti scandalistici, processuali e di gossip, tanto che ancora oggi molte persone credono che si sia sbiancato la pelle, mentre in realtà era affetto da vitiligine, come confermato dalla sua autopsia, uno dei motivi per cui indossava sempre la mascherina in pubblico (anche in questo, vista l'emergenza Covid-19, è stato un precursore). Si è sempre parlato troppo poco dell'attualità del messaggio nelle sue canzoni, un aspetto della sua arte che negli ultimi mesi sta emergendo sempre più grazie all'utilizzo della sua Earth Song come inno ufficiale dei movimenti ecologisti, mentre in questi giorni They don't care about us è diventata ormai l'immancabile colonna sonora delle manifestazioni del movimento Black Lives Matter contro il razzismo."Il mio sogno è quello di compiere il volere di Dio", ha sottolineato. "Non ho scelto io di cantare e ballare, ma questo è il mio ruolo e voglio farlo meglio di chiunque altro". In effetti nessun altro artista ha suscitato sentimenti così forti e incontrollabili: basti vedere le reazioni emotive e le espressioni estatiche del pubblico nei suoi concerti. La sua discografia è attraversata da alcuni temi ricorrenti come la pace, la speranza, la seduzione, l'amore, l'inganno, la lontananza, la paura, il desiderio di essere altrove, le ingiustizie sociali, la difesa della natura e la fratellanza tra i popoli. L'intero messaggio della sua opera era semplice, ma non facile da applicare: fare tutto per amore. Già nel 1977, quando uscì il secondo album dei Jacksons, l'eccellente e sottovalutato Goin' Places, le canzoni con un messaggio sociale erano pari, se non superiori, ai brani da discoteca.Man of War, composta da Gamble & Huff, era la canzone più apertamente politica tra quelle incise finora dai Jacksons, una ballad pacifista di grande impatto emotivo, le cui tematiche saranno sviluppate da Michael negli anni successivi in canzoni impegnate come Man in the mirror e Heal the world. Ben altro fu l'impatto avuto cinque anni dopo da Thriller, pubblicato il 30 novembre del 1982, che non è stato semplicemente un disco che contiene alcune delle sue canzoni più famose e amate, ma un fenomeno così radicato nell'immaginario collettivo da non avere altri termini di paragone, con 100 milioni di copie vendute (anche se alcuni sostengono che siano 70). A differenza della maggior parte dei dischi pop degli anni Ottanta, che suonano datati, Thriller ha un sound ancora attualissimo, fresco e vibrante. Così come Elvis Presley aveva traghettato il rhythm & blues presso un pubblico bianco, così Thriller ha portato il funk e il soul al di fuori delle classifiche riservate alla musica nera, rendendo il suo messaggio universale e abbattendo per la prima volta fastidiosi steccati culturali, allora molto solidi.

Basti pensare che Thriller ha riportato la musica nera nelle radio commerciali, che Billie Jean è stato il primo video di un artista black trasmesso da MTV, mentre Beat It ha dimostrato che il rock bianco e la r&b nera potevano contaminarsi l'uno con l'altro. Il video di Thriller, girato dallo specialista John Landis, è il più famoso e celebrato di sempre, un vero e proprio film dell'orrore, pur se stemperato da una buona dose di ironia. Il cortometraggio è considerato una pietra miliare del ventesimo secolo, non solo in campo artistico, ma anche per la cultura pop. Il plot del video è semplice quanto efficace: un giovane Michael, in un'atmosfera tipicamente Anni Cinquanta, va al cinema con la sua ragazza, la splendida Ola Ray, e le confessa di essere diverso dagli altri: un lupo mannaro. Il videoclip è una parodia dei film horror ma, dietro la facciata del puro intrattenimento, insinua domande tutt'altro che banali sull'identità, sulla diversità e sulla pirandelliana scissione tra verità e finzione. Se c'è una canzone che esprime tutte le doti, le contraddizioni e la genialità di Michael Jackson, quella è Billie Jean, frutto di un'improvvisa ispirazione. "Stavo guidando la macchina, e dentro di me sono arrivati prima i bassi e sopra di essi ho sentito l'accordo, poi la melodia, le parole, gli archi e il resto. Tutto arriva in quel momento, come un dono, nella tua mente", ha raccontato il Re del Pop a proposito della sua canzone più rappresentativa, un mix perfetto di inquietudine e sensualità, che poneva l'accento sul tema allora poco battuto dello stalking perpetrato da una donna nei confronti di un uomo. Billie Jean racconta infatti una travagliata relazione di Jackson con una fan-stalker, che sosteneva di essere stata messa incinta da lui: la soluzione migliore, sembra suggerire indirettamente il brano, è ballarci sopra. Michael ha spiegato che per Billie Jean non si è ispirato a una sola donna realmente conosciuta, ma a un collage delle fan più assillanti incontrate negli anni dei Jackson Five. Gli steccati tra rock bianco e musica nera sono definitivamente caduti grazie a Beat it, che rende riduttiva la definizione di Re del Pop per un artista ricco di influenze musicali eterogenee. C'è chi lo definì "rock nero", altri "dance metal".

Tutti sono concordi nel trovarlo un capolavoro, che ha aperto strade fino ad allora inimmaginabili per il pop. La canzone, accompagnata da un memorabile video di Bob Giraldi ispirato alle guerre tra bande di West Side Story, ha un importante messaggio pacifista. "È sempre meglio stare alla larga da qualunque tipo di violenza, a meno che non ci si trovi con le spalle al muro, senza possibilità di scelte alternative", ha sottolineato Michael a proposito del significato della canzone. "Se ci si ferma a lottare e si finisce ammazzati, si perde tutto". All'inizio degli anni Ottanta la situazione di alcuni paesi africani, in particolare dell'Etiopia e del Sudan, era disastrosa. Centinaia di migliaia di persone avevano un bisogno disperato di cibo, medicinali e altri beni di prima necessità. Harry Belafonte, ispirato dall'inno natalizio Do They Know It's Christmas del supergruppo inglese Band Aid, pensò a un'iniziativa simile con artisti americani. Fu contattato Quincy Jones per produrre e incidere il brano, la cui scrittura fu affidata a un trio di star: Michael Jackson, Lionel Richie e Stevie Wonder.

Quest'ultimo, per sopraggiunti impegni, non riuscì a partecipare alla composizione della canzone, che è stata comunque impreziosita dalla sua voce straordinaria. Jackson è sempre stato un artista sensibile nei confronti delle persone che soffrono: visitava in incognito i bambini malati negli ospedali e regalava loro i biglietti dei suoi concerti. Michael era quindi l'artista ideale per scrivere la canzone, incisa la sera del 28 gennaio 1985 a Hollywood, dove si stavano svolgendo gli American Music Award, insieme ai più grandi artisti della musica popolare americana, tra cui Bruce Springsteen, Ray Charles, Bob Dylan, Stevie Wonder, Paul Simon e Billy Joel. Ad accoglierli un cartello scritto dallo stesso Quincy Jones: "Siete pregati di lasciare il vostro ego fuori dalla porta". We Are the World fu pubblicata il 7 marzo 1985 in 800.000 copie, che andarono subito esaurite. In trent'anni il singolo ha venduto 20 milioni di copie per un ricavato di 60 milioni di dollari, donati a Etiopia e Sudan. Il brano vinse il Grammy Award come "canzone dell'anno", come "disco dell'anno" e come "miglior performance di un duo o gruppo vocale pop"."We Are The World era un vero spiritual", ha sottolineato Michael. "Servì per vedere un mondo migliore di fronte a noi e fu un aiuto importante per la gente che stava morendo di fame". La canzone non solo ha dato un notevole contributo economico alla causa africana, ma ha diffuso in tutto il mondo una maggiore coscienza sociale nei confronti dei problemi del Terzo Mondo. Una delle canzoni più memorabili dell'album Bad del 1987 è Man In the Mirror, ballad di sapore gospel, un vero e proprio inno accostabile, per tematiche e per qualità, a Imagine di John Lennon. Scritta e composta da Siedah Garrett e da Glen Ballard, Man In The Mirror è un j'accuse di straordinario impatto, ancora più importante in un decennio caratterizzato dall'individualismo e dall'edonismo. Come Bob Dylan negli anni Sessanta cantava "i tempi stanno per cambiare", così Jackson vent'anni dopo, sull'onda dell'emozione per le guerre e le carestie che affliggevano il Terzo Mondo, si fece portatore di un messaggio di incoraggiamento, individuale e al tempo stesso collettivo. Il refrain "I'm starting with the man in the mirror/ I'm asking him to change his ways/ And no message could have been any clearer/ If you want to make the world a better place/ Take a look at yourself, and then make a change" (in italiano "Partirò dall'uomo nello specchio/ Gli chiederò di cambiare i suoi modi/ Nessun messaggio può essere più chiaro/ Se vuoi creare un mondo migliore/ Guarda a te stesso e poi fai un cambiamento"), è uno dei più memorabili degli ultimi quarant'anni.

L'album Dangerous del 1991 è stato anticipato da Black Or White, il singolo di maggior successo di Jackson dopo Billie Jean, la cui premiere video fu vista in diretta da 550 milioni di spettatori in 27 Paesi. Un irresistibile inno alla pace e alla fratellanza universale, che si sviluppa intorno a un memorabile riff di chitarra, impreziosito da un assolo di Slash. La canzone arrivò subito al numero uno della classifica americana e inglese, oltre che in altri diciotto nazioni, facendo diventare Michael il primo artista ad avere una canzone al primo posto negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Il messaggio dello short movie, diretto da John Landis, al suo secondo video per Michael Jackson dopo Thriller, è forte, chiaro e ancora attuale: "Non importa che tu sia bianco o nero, quale sia la tua etnia, religione o Paese di provenienza. Nelle nostre differenze, siamo tutti uguali". In un periodo in cui i tabloid prendevano di mira il cantante per lo sbiancamento della sua pelle, prima che rivelasse nella celebre intervista del 1993 a Oprah Winfrey di essere affetto da vitiligine, Black Or White rivelava, oltre a un messaggio di integrazione, anche una buona dose di autoironia del cantante. Pubblicato 25 anni fa, HIStory, ancora oggi il doppio album più venduto di sempre con oltre 30 milioni di copie, è stato il primo disco in cui Jackson mostrò compiutamente anche le sue abilità di musicista, suonando tastiera, sintetizzatori, chitarre, batteria e percussioni. L'album è uno dei lavori più personali e al tempo stesso politici dell'artista, quasi un concept album sulle ingiustizie, il materialismo, le bugie e l'oppressione. Nella voce del cantante traspare tutta la rabbia e l'indignazione per i dolorosi eventi degli ultimi anni, ma, come spesso accade nei suoi album, Michael trae spunto da un fatto personale per collegarlo a un problema sociale più ampio. Uno dei brani migliori di HIStory è certamente il rabbioso pop-rap di They Don't Care About Us, che, con il suo inconfondibile ritmo marziale, il suo adrenalinico bridge e il suo coinvolgente refrain, è un attacco in quattro quarti a un apparato di potere corrotto, un vero e proprio inno degli oppressi, soprattutto neri, privati dei più elementari diritti civili. Non a caso They Don't Care About Us è diventato uno dei brani più suonati nelle manifestazioni antirazziste di questi giorni, dopo che la brutale uccisione di George Floyd ha ridato vigore al movimento Black Lives Matter. Il testo della canzone fu allora frainteso, scatenando nel 1995 un'accusa lunare di antisemitismo da parte del giornalista Bernard Weinraub del "New York Times", anche perché Jackson aveva notoriamente numerosi amici ebrei, primo fra tutti il regista Steven Spielberg. "L'idea che queste parole possano essere state giudicate degne di biasimo è davvero dolorosa per me, oltre che fuorviante", spiegò allora il re del Pop. "La canzone, infatti, parla del dolore provocato dal pregiudizio e dall'odio: un modo per attirare l'attenzione su problemi sociali e politici. Io rappresento la voce di coloro che vengono accusati e attaccati. Sono la voce di tutti. Sono lo skinhead, sono l'ebreo, il nero e il bianco. Ma non sono io ad attaccare". Rileggendo oggi il testo del capolavoro Earth Song con la consapevolezza del cambiamento climatico in atto e dell'emergenza incendi che sta falcidiando il verde in Amazzonia e in Africa, c'è da rimanere davvero stupefatti di come quel grido di allarme, puntuale e lucido, sia rimasto inascoltato per quasi tre decadi dai governanti (e dall'opinione pubblica, che ha votato quegli stessi governanti).

Dalle guerre alla deforestazione, dall'inquinamento delle fabbriche all'uccisione degli animali a scopi di lucro, passando per il dramma della carestia e della povertà senza distinzioni di razza, la canzone è un duro atto d'accusa nei confronti dell'uomo e dei suoi errori, che hanno compromesso non solo il pianeta, ma l'intera umanità. "Che ne è di tutti quei sogni/ che dici fossero tuoi e miei / ti sei mai fermato a notare/ tutti i bambini morti per via della guerra/ Ti sei mai fermato a notare/ questa terra che piange, queste coste che piangono?". Da quando è stata pubblicata, il 27 novembre 1995, Earth Song è diventata in poco tempo l'inno ecologista più importante e famoso di sempre. "Sentivo così tanto dolore e sofferenza per le condizioni del pianeta", ha dichiarato il cantante quando è uscito il singolo. "E per me, questa è proprio la canzone della Terra". Il video degli studenti polacchi che intonavano Earth Song di Michael Jackson alla COP24, la Conferenza sul cambiamento climatico organizzata dalle Nazioni Unite a Katowice, in Polonia, a dicembre del 2018, è l'ennesima prova di quanto la sua musica e il suo messaggio siano ancora oggi, a 11 anni dalla sua morte, attuali e rilevanti. Blood On The Dancefloor - History In The Mix, con le sue sei milioni e mezzo di copie, diventò nel 1997 l'album di remix più venduto di sempre, confermando come Jackson fosse l'unico artista al mondo ad avere successo anche quando faceva flop. Il capolavoro del disco è l'inedito Ghosts, il cui video, con quasi 38 minuti di durata, è stato per anni il videoclip musicale più lungo della storia, record sottrattogli da Pharrell Williams nel 2013 con la versione integrale del videoclip di Happy, lunga 24 ore. A quattordici anni dall'uscita del video di Thriller, Michael voleva realizzare con Ghosts il film musicale più grande e più spaventoso di sempre. Scritta, composta e prodotta da Michael con Teddy Riley, la canzone è caratterizzata da un martellante beat metallico, da un basso prodigioso e da cori minacciosi. Un ghotic pop inquietante e al tempo stesso irresistibile, che riprende e sviluppa in chiave contemporanea l'intuizione di Thriller.

I temi della paura, dell'orrore, della paranoia e della trasformazione qui sono molto di più calati nella realtà della società americana, che ha la tendenza a temere e a emarginare chiunque venga considerato "diverso" e strano". Il messaggio della canzone, fortemente autobiografico, che il vero mostro non è davanti ai loro occhi, ma quello che si cela in chi è solito puntare il dito contro l'altro. La figura del Sindaco presenta molti tratti in comune con Tom Sneddon, il controverso procuratore distrettuale della contea di Santa Barbara che per anni ha indagato invano su Jackson. Il video di Ghosts, grazie alle sue memorabili coreografie e agli spettacolari effetti speciali, è uno dei vertici dell'arte totale di Michael Jackson, in cui musica, video e messaggio sono strettamente correlati. Anche nell'ultimo album pubblicato in vita, lo sfortunato Invincible del 2001, Michael non ha rinunciato a lanciare dei messaggi sociali. Basti pensare che il disco, prolisso e disomogeneo, ma con diversi brani memorabili, è dedicato a Benjamin Hermansen, un ragazzo quindicenne di origini africane, pugnalato da un gruppo di neonazisti ad Oslo e trovato morto nel gennaio del 2001. Ecco perché la definizione di Re del Pop, per un artista che ha esplorato tutti i generi musicali e che ha portato all'attenzione di milioni di persone temi così delicati e scottanti, procurandosi così molti nemici nei media e nel music business, suona un po' riduttiva per Michael Jackson.

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