Il "metodo Repubblica" spiegato dal suo direttore


Quando si supera una certa età, difficile dire quale sia questa età, un giornalista non resiste alla tentazione di raccontare simpatici aneddoti sulla sua avventurosa professione. Ezio Mauro quel “tipping point” l’ha superato e, in un’intervista a Rivista Studio, non resiste alla tentazione.

Una volta, erano gli anni del terrorismo, ho provato a far dire a Pertini la frase “il peggio è passato”, sarebbe stato un bellissimo titolo, Pertini, due punti, il peggio è passato. Bastava solo che lui dicesse “sì”. Con un collega riusciamo a incastrarlo in un angolo, e gli domandiamo: presidente, il peggio è passato? Lui risponde: “E che ne so, io? Mica ho la sfera di cristallo”.

A parte il fatto che Pertini bisognava clonarlo, perché il suo populismo casereccio era, almeno, autorevole, Ezio Mauro spiega perfettamente qual è il metodo Repubblica. Non è quello di riportare ciò che una persona dice, ma far dire a una persona ciò che sarebbe bene lui dicesse. Lo scopo è fare “un bellissimo titolo”. Non importa poi molto che quella persona pensi veramente quello che ha detto, perché a pensare ci pensa il giornalista, Pertini avrebbe dovuto mettere il proprio sigillo a un pensiero non suo. E’ come accade con certi sondaggi: “Lei pensa che il sapone prodotto dalla società X sia il migliore del mondo?” Ovviamente non essendo a conoscenza della composizione di tutti i saponi del mondo, si è portati a rispondere “No”. Così il sondaggista è autorizzato a dire all’azienda Y, che ha commissionato il sondaggio, che il sapone prodotto dal concorrente X “non è il migliore del mondo”. E tutto questo, si badi bene, senza che nessuno abbia mentito: dicono tutti la verità, solo che quella verità non è vera. Così come Pertini, avesse detto “sì”, non avrebbe mentito, ma non sarebbe stata la verità.

Questo è il giornalismo in stile Repubblica: racconta verità che non sono vere perché non vengono dai fatti ma dalla testa dei giornalisti. Quel tipo di giornalismo che, facendo finta di riportare le parole di una persona, in realtà le usa, le adatta, le conforma perché aderiscano a un’idea che si ha in testa e, alla fine, diventa violento perché è inevitabile che lo sia. “Il peggio è passato” era nella testa di Ezio Mauro, non in quella di Pertini. Provate a immnaginare i guasti di questo metodo di lavoro quando viene applicato alla cronaca giudiziaria. 

Applicando questo metodo il giornalismo diventa non letteratura, ma scienza, quel tipo di scienza triste che è l’economia così come è insegnata nelle Università: se la realtà non si conforma all’idea, si cambia la realtà (cioè si pone la stessa domanda a qualcun altro) e alla fine quello che ti dice “sì” e ti permette di fare il tuo “bellissimo titolo” lo trovi sempre. Il metodo scientifico consiste nel fabbricare a tavolino la notizia e poi trovare qualcuno che te la confermi. E alla fine quel qualcuno lo trovi sempre. Molte delle battaglie, soprattutto giudiziarie, condotte da Repubblica negli ultimi anni sono state condotte con questo metodo: prima il titolo e poi la conferma. Poi si monta la panna per una pagina intera su una notizia inesistente che ovviamente provoca le reazioni politiche, le proteste di qualcuno e, se hai culo, anche un’interrogazione parlamentare. Questo è quello che si intende per “giornalismo a tesi” altrimenti detto “il metodo Repubblica”.

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