I pirati dei Navigli
fotografia di copertina, Monica Fritz
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Marco Philopat, 'I pirati dei Navigli' - La recensione

A dieci anni esatti dal romanzo del punk italiano, lo stream of consciousness di Costretti a sanguinare (ripubblicato poi da Einaudi nel 2006 e da Agenzia X nel 2016), Marco Philopat torna con un sequel dalla prosa più tradizionale ma sempre in presa diretta. Vibrante e febbrile, ebbro e meditato, disperato e travolgente come una pagaiata in Darsena - non ancora epicentro della movida milanese - a bordo di quattro gommoni scassati, per dare l'assalto al palco delle autorità. I pirati dei Navigli inizia nel settembre 1984 dopo lo sgombero del Virus, l'anti-Scala del punk, e si conclude sulle macerie del Muro di Berlino. Sembra ieri, sembra passato un secolo.

Un romanzo di formazione militante

Con la formula ibrida del memoir romanzato, Philopat lascia scorrere il ricordo (quello volontario e quello involontario) di un luogo e di un tempo difficili da mettere a fuoco e tuttavia fondamentali per capire il presente, contestualizzando l'immaginario delle generazioni che sono venute dopo. Un tempo collettivo, gli anni Ottanta a Milano, in cui lo scenario storico della sinistra italiana subì un radicale mutamento. E un tempo individuale, quello dei vent'anni, narrativamente memorabile forse a prescindere dal contesto, benché l'autore confessi fin dall'inizio una scarsa autostima sia a causa del proprio fisico allampanato sia della attitudine "in perenne fuori tempo". 

Ma proprio la commistione tra il lato politico-militante e la vicenda di formazione regala a questa storia l'autenticità di un'avventura. Ci sono le amicizie e gli sballi, l'amore e gli sgomberi, i manganelli e le goliardate, pulsioni e depressioni, i concerti e le spiagge di Tarifa, le riviste underground e le Brigate Rossonere, la bellezza e gli scarafaggi, la paura e il coraggio, privazioni e occupazioni. Tutto mischiato, imbastardito nel flusso della vita. Le icone della strada - case occupate, officine, tram, ponteggi, svincoli, furgoni, motorini, bandane, botteghe - in luoghi paradigmatici della Milano di trent'anni fa: viale Piave e via Orti, il centro sociale Garibaldi, il Leoncavallo con l'Helter Skelter, le case popolari di Rogoredo e l'Omnicomprensivo di Corsico, l'Acquario di Porta Genova e il Ticinese non ancora divenuto cartolina, rifugio di personaggi leggendari come Alda Merini o Pelè col suo bidofono e le storie della ligéra

La controcultura milanese aveva un nume tutelare in Primo Moroni, ex cuoco e ballerino, intellettuale indipendente nell'arcipelago di gruppi e movimenti della sinistra extraparlamentare, infaticabile promotore di progetti alternativi alla cultura borghese dal covo della libreria Calusca, aperta in Ticinese nel 1971. I pirati dei Navigli aggiunge un tassello fondamentale alla ricostruzione antropologica della Milano tardonovecentesca che proprio Moroni aveva cominciato a mappare nel 1988 in L’Orda d’Oro, 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, scritto insieme a Nanni Balestrini. 

Gli anni Ottanta come non li avevamo ancora pensati

"Gli anni Ottanta sono stati oscuri" sentenzia il narratore, accennando alla rimozione collettiva di un'epoca. Come ha raccontato Alessandro Bertante in Gli ultimi ragazzi del secolo, altro romanzo capace di rileggere quella stagione dentro un'onda emotiva rabbiosa ma insieme liberatoria, il disagio giovanile di fronte all'etica-estetica consumistica dilagante scontava anche un senso di colpa generazionale. Il Sessantotto e gli ultimi sussulti del Settantasette erano ormai alle spalle, la galassia antagonista slabbrata. Molti ex leader - sfuggiti alla doppia tentazione della lotta armata e dell'eroina - erano passati in silenzio dall'altra parte, arruolandosi nella classe dirigente della prepotente economia liberal. 

Tutti omologati allora in quel decennio merdoso, "creature simili" tutte disimpegnate, strafatte, depresse? No, fra I pirati dei Navigli c'è un manipolo di ribelli sopravvissuti che si opposero alla deregulation economico-morale veicolata dal binomio Reagan-Thatcher, e poi in Italia dal craxismo. Al Movimento nato sulle ceneri del punk mancava una vera leadership. Le sue cellule eterogenee si muovevano in maniera istintiva, spesso scomposta. Era pieno di contraddizioni ma anche di creatività e coraggio. Radicalmente antagonista. Si batteva contro il potere e contro l'eroina, piaga sociale in parte consustanziale al sistema come i più lungimiranti (o coraggiosi, o semplicemente fortunati) non tardarono a comprendere, coniando un antislogan feroce: "Milano da Pere". 

La controcultura che anticipò il domani

Era un Movimento alla perenne ricerca di identità eppure cosmopolita e libertario: dall'Europa e dagli Stati Uniti assorbì i semi dei nuovi linguaggi che avrebbero cambiato il mondo. Fra le tante iniziative culturali fu soprattutto la rivista Decoder a coniugare il Do It Yourself del punk con le nuove tecnologie, introducendo in Italia il cyberpunk. "Considerato che la rivoluzione digitale sta cambiando i comportamenti e le abitudini delle persone, ma anche le modalità del consumo e della produzione", scrive Philopat, "decade completamente la questione del diritto alla proprietà intellettuale..." 

Parole profetiche che riecheggiano anche nel discorso di Primo Moroni all'indomani del provvisorio sgombero del Cox 18, centro sociale fondato negli Ottanta e oggi polo culturale di rilevanza internazionale, oltre che custode del suo prezioso archivio cartaceo: "Con il tramonto del vecchio modello produttivo i territori metropolitani si sono trasformati in grandi industrie del terziario avanzato, dove il semplice cittadino è messo alla catena di montaggio appena si sveglia, al di là di quale impiego svolga". Parole che nel 1989 prefiguravano l'alba di una nuova epoca: la nostra.

Il grande Alfabeto del momento

I pirati dei Navigli si chiude con la promessa di un'altra storia da raccontare, sull'onda promettente della Pantera universitaria e sulle macerie del Muro di Berlino dove i ragazzi del Cox si erano subito precipitati. Ma i Novanta, si lascia sfuggire Philopat, finiranno per diventare una "lugubre continuazione dei paludosi anni Ottanta". Per consolarci, o per ingannare l'attesa che ci separa dal prossimo capitolo, possiamo tornare alla storia del punk con due bei volumi usciti di recente: La storia del punk di Stefano Gilardino e Storia vissuta del punk a Los Angelesdi John Doe Tom DeSavia, una cavalcata orale che porta in dote l'energia di quella irripetibile stagione californiana tra il 1977 e il 1985. 

Oppure aprire una pagina a caso di Tutte le poesie (1969-2015) di Milo De Angelis, bella antologia con versi inediti risalenti addirittura alla fine dei Sessanta. C'è una misteriosa sintonia fra le visioni del poeta milanese - uno che ha sempre tratto dalla strada la sua limpidissima ispirazione, o dal carcere dove tuttora insegna - e le scorribande dei Pirati dei Navigli. Una comune vicinanza coi "deboli spavaldi che non si arrendono". Un interrogare gli attimi "caduti nel buio di un gesto qualunque, un sabato, in un centro commerciale". Un'Alfabeto del momento, poesia-manifesto introdotta da un verso folgorante e molto punk: "A volte, sull'orlo della notte, si rimane sospesi / e non si muore".

Per approfondire

Alessandro Bertante, Gli ultimi ragazzi del secolo
Alberto Rollo, Un'educazione milanese

Marco Philopat
I pirati dei Navigli
Bompiani
316 pp., 17 euro

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