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Malattie rare: vivere con la sindrome di Sjögren

Può cominciare con un bruciore agli occhi, con le lacrime che smettono di fare il loro dovere e una sensazione di sabbia sotto le palpebre. Molto spesso tra i primi sintomi c'è anche la secchezza della bocca: anche le ghiandole salivari vengono colpite e progressivamente distrutte.

La sindrome di Sjögren è una malattia infiammatoria autoimmune, che colpisce nel 90% dei casi le donne. Riconosciuta dalla scienza ma assai poco considerata, tanto da non rientrare nel novero delle malattie rare, chi ne soffre è di fatto lasciato solo. Non ci sono farmaci specifici, mancano centri di ricerca e di cura specializzati. Sarà che si tratta di una malattia difficile da attribuire a una branca della medicina piuttosto che a un'altra: colpisce le ghiandole endocrine ma poi degenera e può arrivare a interessare il sistema nervoso, la pelle, l'apparato respiratorio, e anche organi vitali come reni, cuore, fegato, pancreas.

Panorama.it ne ha parlato con Lucia Marotta, presidente dell'associazione A.N.I.Ma.S.S. ONLUS, che riunisce le persone che in Italia soffrono di questa malattia. Marotta è stata suo malgrado una pioniera, perché quando ha cominciato ad avvertire i primi sintomi, quasi 20 anni fa, ha faticato molto e atteso a lungo prima di essere presa sul serio e poi di ricevere una diagnosi.

Come funziona la malattia?
È una malattia infiammatoria autoimmune in cui il sistema immunitario va in tilt: i linfociti T, che di solito difendono l'organismo dalle aggressioni esterne, vanno all'attacco delle ghiandole lacrimali e salivari, quindi occhi e bocca, ma possono aggredire anche altre mucose, la pelle, l'apparato respiratorio e organi vitali. È una malattia molto complessa e può essere altamente invalidante e aggressiva perché può compromettere anche l'apparato osteoarticolare, cardiovascolare e polmonare. In più c'è una alta incidenza di linfoproliferazione: il cancro. Tra i linfomi più diffusi c'è il linfoma non Hodgkin, che ha una mortalità del 5-8%.

Qual è l'età di esordio?
Varia, c'è anche una fascia pediatrica ma molto rara. Ci sono sostanzialmente due picchi, tra i 20 e i 30 anni e tra i 40 e i 50, nella fase di sviluppo sessuale e nella menopausa. Colpisce soprattutto le donne quindi è a tutti gli effetti una malattia di genere, anche questo non ne ha favorito lo studio: quasi tutte le ricerche vengono fatte sugli uomini.

Come incide la sindrome sulla qualità della vita?
Il 30% dei pazienti ha la forma non sistemica che coinvolge solo le ghiandole salivari e oculari, perciò occhi e bocca. Mentre in un 60-70% dei casi la forma è sistemica e a seconda degli organi compromessi la situazione può essere da grave a gravissima, fino al rischio di morte, nel caso di coinvolgimento di organi vitali. La qualità di vita per molte persone, compresa me, è molto scadente. Nel mio caso ci sono momenti in cui sono immobilizzata, in genere deambulo con difficoltà, spesso si convive con il dolore.

Quali sono le cure a disposizione dei malati?
Non essendoci ricerca, non esistono farmaci specifici. Ci danno dei palliativi con forti effetti collaterali. Ne consegue che non tutti riescono ad avere solo benefici da queste terapie. Con gli antidolorifici di uso comune io, per esempio, non sono riuscita a debellare i dolori. Non sempre poi i farmaci somministrati sono tollerati. Io ho chiesto di poter usare la cannabis terapeutica, nel mio caso c'è un forte coinvolgimento del sistema nervoso centrale e periferico con dolore neuropatico. Il cortisone o l'antistaminico che mi hanno dato hanno tamponato il problema al momento, ma non posso assumerli a oltranza perché ho l'osteoporosi femorale e vertebrale e rischio fratture. Sono costretta a sospendere questi cicli. Ero andata al centro del dolore all'Università di Verona, che mi ha dato un altro antidolorifico. Spesso ci danno degli antiepilettici, che sono delle vere bombe. Ho chiesto perché non la cannabis, che sta avendo successo nel trattamento delle patologie neurologiche degenerative, ma l'esito è stato negativo.

Che cosa comporta il fatto che la sindrome di Sjögren non sia riconosciuta come malattia rara?
In molti casi la nostra patologia è simile alla sclerosi multipla, molto più nota, e ha delle analogie anche con il lupus eritematoso. La differenza è che su quelle malattie si investe, perché i malati sono di più e anche perché si tratta di patologie meno complesse. La nostra è una malattia sistemica che può associarsi ad altre malattie autoimmuni. Per studiarla servono grossi investimenti economici e la volontà di occuparsene da parte di più case farmaceutiche e centri specializzati. Al momento non ci sono centri multidisciplinari, per cui chi si ammala deve fare dei veri pellegrinaggi come ne ho fatti io. Oggi grazie alla nostra associazione, che combatte da 13 anni, la situazione è meno precaria, abbiamo fatto conoscere la sindrome e sensibilizzato molti medici di medicina generale e farmacisti. Bisognerebbe che questo lavoro venisse fatto a livello istituzionale.

Che cosa vi augurate che succeda?
Dopo essere stata riconosciuta come malattia rara a livello europeo, vorremmo che questo riconoscimento avvenisse anche in Italia e che entrasse nei Lea (livelli essenziali di assistenza, n.d.r.), ma non c'è la volontà politica. Occorrerebbe che i Lea fossero aggiornati più di frequente. Curarsi costa molto. Parecchi pazienti non riescono a curarsi come dovrebbero per mancanza di mezzi. Abbiamo bisogno di colliri per idratare l'occhio, dentifrici specifici e collutori senza alcol per sopperire alla salivazione scarsa, creme idratanti per la desquamazione e le ulcerazioni della pelle, tutte cose da comprare in farmacia. E poi shampoo, detersivi e tutto ciò che serve per la detersione, lavaggi vaginali e prodotti senza coloranti, nichel e profumi, per non parlare delle cure odontoiatriche, perché il cavo orale è devastato dalla scarsità di saliva, aumentano le carie e afte e ulcerazioni sono all'ordine del giorno. E poi c'è la riabilitazione fisica per chi ha problemi osteoarticolari, molto efficace per evitare la paralisi. Molte persone non adeguatamente seguite finiscono per non poter più camminare, il che in ultima analisi rappresenta un peso per il servizio sanitario nazionale.

Come cambierebbe le cose il riconoscimento della malattia?
Il riconoscimento di malattia rara assicurerebbe la presa in carico del paziente, la creazione di competenze attorno a strutture ospedaliere dove già ci sono esperti e significherebbe costi inferiori e tutela di chi soffre. Una nostra stima parla di circa 16mila malati in Italia, 10-12mila dovrebbero essere i casi di sindrome di Sjögren primaria, quella secondaria spesso viene tutelata dalla malattia principale come l'artrite reumatoide, il lupus, la sclerodermia o il diabete. Fino ad oggi sono stati isolati 6 o 7 geni responsabili della malattia, occorrerebbe trovare tutti quelli che la predispongono in modo da poter fare uno screening. E poi riconoscere la cannabis nei casi di dolore cronico e i parafarmaci, perché sono vitali per evitare la degenerazione dei sintomi.

Ora un film racconta la sua storia
Si intitola La sabbia negli occhi e racconta la storia di una donna e delle sue difficoltà, inizialmente nel farsi credere anche dalla sua stessa famiglia e poi dai dottori. All'inizio ci fu chi mi consigliò di andare dallo psichiatra, in pratica dicevano che i sintomi erano nella mia testa. Il film, diretto da Alessandro Zizzo e interpretato da Valentina Corti e Adelmo Togliani, racconta molto anche la mia voglia di lottare: i malati tendono a chiudersi in se stessi, invece bisogna avere coraggio e andare avanti.

Il film La sabbia negli occhi è una produzione indipendente con una distribuzione itinerante per creare occasioni di incontro e di dibattito. Il 28 febbraio, nella Giornata Internazionale delle Malattie Rare, il film sarò proiettato in varie città: a Milano alle ore 21,15 al Cinema Palestrina, a Prato al Multiplex Omnia Center e Rimini al Multiplex Le Befane, a Calimera (LE) alle ore 21,00 presso il Cinema Elio e infine a Lanciano al Cinecity (CH).

Per saperne di più

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