Scontri a Tripoli
MAHMUD TURKIA/AFP/Getty Images
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Libia: cosa emerge dalla conferenza di Palermo

Alla fine Khalifa Haftar, il generale che tiene in pugno l'est della Libia (e in parte ciò che accade intorno a Tripoli), si è presentato a Palermo, salvando dall’imbarazzo di un possibile flop il governo di Roma. Oltre all’uomo forte della Cirenaica, alla conferenza organizzata dalla diplomazia italiana per muovere un passo in avanti nella crisi libica erano presenti: il premier del governo di unità nazionale a Tripoli, Fayez Al Sarraj, principale oppositore di Haftar; l’inviato dell’Onu, Ghassam Salamè; il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk; il presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al Sisi; numerosi capi di stato e di governo africani (Tunisia, Algeria, Niger e Ciad). E, soprattutto, il premier russo Dmitri Medvedev, braccio destro del presidente Putin e possibile deus ex machina per una credibile risoluzione di quel conflitto che dilania il paese nordafricano sin dal 2011 (come noto, la Russia si sta ritagliando un ruolo da protagonista del Mediterraneo).

L'incontro tra Haftar e Serraj

Haftar si è anche incontrato direttamente con il suo avversario Serraj e ciò ha prodotto una “photo opportunity” scattata insieme al premier italiano Conte (i tre sono stati immortalati mentre si stringono la mano). Ma quella foto è stata scattata soltanto a margine dei lavori della Conferenza, poiché Haftar si è rifiutato di sedere vicino a coloro che considera gli sponsor della Fratellanza Musulmana, ovvero Qatar e Turchia, che egli avversa in ogni modo poiché patrocinatori di un piano istituzionale per la Libia basato sul Corano anziché sulle forze armate. Roma ha recepito il messaggio e, pur di avere il generale a Palermo, ha pragmaticamente accettato di adattarsi alla situazione esistente, riservandogli una serie di colloqui privati e ingoiando i suoi capricci e la sua resistenza a partecipare tanto alla tavola rotonda quanto alla cena ufficiale organizzata la sera del 12 novembre.

Nessuna decisione importante

Così, la Conferenza di Palermo non strappa alcuna decisione importante, né produce alcuna road map che possa sciogliere l’incertezza sul futuro della Libia. Necessaria per accrescere la distensione tra i protagonisti e di certo utile al lavoro dietro le quinte delle diplomazie, l’occasione era infatti nata incompleta, viziata inoltre dalla mancata presenza degli Stati Uniti, che hanno sostanzialmente snobbato l’appuntamento, con grave disappunto di tutti.

Palermo come risposta a Parigi

A pesare negativamente è stata anche l’impressione che l’evento sia stato più che altro una risposta di Roma al meeting dello scorso maggio di Parigi, quando cioè l’Eliseo aveva provato a intestarsi un accordo tra le due anime della Libia e a imporre la propria strategia per giungere a elezioni il più presto possibile (al momento sono rimandate a data da destinarsi), scippando all’Italia quel ruolo di leadership che le era stato riconosciuto sia da Washington che dalle Nazioni Unite.

In quell’occasione, anche il presidente Macron aveva incassato la sua “photo opportunity” con Haftar e Serraj che si stringevano la mano con un accenno di sorrisi. Tuttavia, conosciamo bene gli esiti di quel vertice: un nulla di fatto. Anzi, proprio a seguito della passerella parigina si è rischiato di vedere riesplodere il conflitto in tutta la sua drammaticità, quando si è capito che alle parole non sarebbero seguiti i fatti: le elezioni chieste all’epoca da Parigi e previste per questo dicembre sono state annullate.

Questo ha prodotto come risultato la battaglia di Tripoli dello scorso settembre, scaturita soprattutto dalla volontà del generale Haftar di far sapere al mondo che se vuole è in grado di marciare sulla capitale, e nata anche come risposta allo sgambetto dell’Italia che, per mezzo del suo ambasciatore, aveva affossato le speranze del generale di vincere le elezioni-blitz. “Non ci sono le condizioni per votare a dicembre” era trapelato da alcune dichiarazioni di Giuseppe Perrone, poi ritrattate.

Ma, come recita l’aforisma che fu di Metastasio e ancor prima di Ovidio, voce dal sen fuggita poi richiamar non vale. Risultato, Perrone è stato di fatto commissariato e l’ambasciata italiana a Tripoli - l’unica occidentale rimasta aperta nella capitale - è oggi orfana dell’unico referente diplomatico ufficiale di Palazzo Chigi. Haftar ha chiesto e ottenuto l’allontanamento dell’ambasciatore italiano, rimandando a Palermo la riconciliazione. Il generale è stato di parola, ma il danno ormai era fatto.

Unico risultato: aver guadagnato tempo

Ne consegue che, così come già per Parigi, anche l’appuntamento siciliano si va risolvendo in un nulla di fatto: le aspettative degli osservatori internazionali rischiano di restare sostanzialmente deluse e, tra l’altro, nessun comunicato di sostanza è ancora seguito alla stretta di mano tra i duellanti di Tripolitania e Cirenaica. Né ci si aspetta nelle prossime settimane che il clima possa cambiare.

Dunque, si ricomincia da capo. Con un unico dato, questo sì, molto positivo: l’aver guadagnato tempo e aver avvicinato le delegazioni francese e italiana, che da settimane lavorano a un accordo politico-economico che garantisca a Total ed ENI, le due grandi concorrenti nel settore energetico (oli&gas) del Mediterraneo, di poter lavorare in serenità e condivisione, secondo obiettivi di sviluppo sostenibili. La consapevolezza che la conferenza fosse nell’interesse di entrambi i Paesi è al momento l’unica vera notizia che emerge da Palermo.

Mentre, per quanto riguarda la politica, il peso negoziale di Tripoli e del premier Fajez Al Serraj - l’uomo indicato dall’ONU come titolare del mandato di governo - vanno scemando di giorno in giorno. Ancora tutta da interpretare è invece la scelta degli Stati Uniti di non inviare rappresentanti di peso. Forse una scelta coerente con il disimpegno americano dal MENA (Medio Oriente e Nord Africa) o forse una sottovalutazione dell’importanza che l’Italia riveste nel Mediterraneo. Un vuoto che il Cremlino ha visto bene di colmare, e che fa di Mosca il centro di ogni decisione sul futuro del paese.

Palazzo Chigi ha provato a definire la conferenza come “un grande successo”, ma la realtà dei fatti è tutta nelle fredde dichiarazioni del portavoce dell’esercito guidato da Haftar: “Il maresciallo Haftar è arrivato in Italia ieri (il 12 novembre, ndr) per una serie di incontri con i leader di Paesi vicini. Non è lì per partecipare alla Conferenza di Palermo”, ha voluto far sapere agli osservatori arabi. Per poi far trapelare la frase sibillina che resterà negli annali: “non si cambia cavallo mentre si guada il fiume” avrebbe dichiarato il generale a proposito di Al Serraj. Il che, tradotto, significherebbe che, per quanto lo riguarda, il premier di Tripoli al momento può rimanere al proprio posto. Peccato, però, che in questo modo abbia paragonato se stesso a un cavaliere e l’avversario a poco più che un cavallo da soma.

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