Il primo confronto tra i big della politica al Meeting di Rimini lo vince Giorgia Meloni

Alla fine il tanto atteso confronto tra Enrico Letta e Giorgia Meloni c’è stato. Sul palco del meeting di Rimini. Esteso peraltro a tanti altri leader, da Di Maio a Tajani a Salvini. Se dovessimo giudicare il vincente in base all’applausometro ciellino, non c’è dubbio: lo scontro l’ha vinto Giorgia Meloni. E già questo non è un particolare scontato. Un po' perché per la Meloni era la prima volta sul palco della kermesse di Comunione e Liberazione. Un po' perché ci si aspettava che davanti a una platea cattolica, uno come Letta, di estrazione democristiana, dovesse avere la meglio: non è stato così. Il grande freddo della platea ha avvolto il segretario Pd che sulla proposta di obbligo per la scuola materna si è preso anche qualche fischio. Non parliamo poi di Di Maio, che non è stato proprio considerato dal pubblico.

Ma perché Letta, quello degli occhi di tigre, si è presentato alla kermesse di Comunione e Liberazione come un pesce fuor d’acqua? Evidentemente paga le ultime uscite sinistrorse, dalla frase sulla devianza al tasto più volte battuto sullo ius scholae: posizioni radicali certamente ostili alla platea ciellina. Rimini ci consegna un segretario bifronte, e per questo a disagio. E’ come se ci fossero due Letta in conflitto tra loro: quello delle origini e quello di oggi. Quello delle origini, che ogni tanto riaffiora, è il moderato di centro, rappresentato oggi dall’immagine di un segretario costretto a parlare con Giorgia Meloni portando la mano alla bocca, come per non farsi vedere dai suoi. Il Letta di oggi invece è quello che, in virtù della realpolitik, deve mostrarsi come guerriero antifascista, drammaticamente spostato a sinistra per fini meramente elettorali, in un ruolo che evidentemente non gli si addice.

I leader prima di salire sul palco(Ansa)

La stessa fotografia simbolo della giornata politica di oggi, cioè quell’aperitivo tra Meloni e Letta prima della conferenza, è stata retwittata da Giuseppe Conte come simbolo dell’inciucio dietro le finte schermaglie mediatiche. Al di là delle accuse contiane, è un’immagine che fa più male a Letta che a Meloni: la leader di Fratelli d’Italia, accusata di estremismo di destra, dimostra che è pronta a dialogare con tutti, in primis con il principale avversario. Enrico Letta, che deve tenere a bada le sue correnti e ha impostato la sua campagna sul rischio della deriva fascista, ne esce anche in questo caso come il leader con due facce: sotto i riflettori muove guerra, ma poi dietro le quinte si accorda col nemico.

La platea di Rimini non è certo un campione rappresentativo dell’elettorato italiano. Ma sta di fatto che la standing ovation a Meloni potrebbe essere un tributo alla sua coerenza: coerenza che sta mancando drammaticamente al partito democratico. La famosa tigre, insomma, al primo appuntamento è riuscita a malapena a miagolare.

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