Le promesse delle slides di Renzi

Ansa

Lo stesso fondo "venduto" due volte

Con la slide sulle risorse per il credito alle piccole e medie imprese Renzi si è limitato a promettere un rafforzamento del fondo di garanzia, senza comunicare cifre né scadenze, ma sembra ugualmente essersi preso qualche libertà di troppo nella comunicazione. È il Def a denunciare l’ambiguità dell’annuncio del 12 marzo, con la quantificazione in 670 milioni delle risorse destinate al fondo. Poiché la stessa cifra (669 per l’esattezza) è indicata nella legge di Stabilità approvata a dicembre durante il governo precedente, sembra evidente (a meno di spiegazioni ulteriori che suggeriscano una lettura diversa) che risorse nuove non ce ne sono. In questo caso Renzi si è semplicemente "rivenduto" i soldi già stanziati da Letta.


Ansa

E il non profit resta in attesa

Un feeling particolare lega l’ex boyscout Renzi alle imprese sociali, per le quali ha annunciato il 12 marzo una disponibilità di ben 500 milioni di euro. Peccato che quella cifra sia nel frattempo letteralmente scomparsa. Nel Def non ce n’è traccia. La necessaria copertura, a quanto il ministero dell’Economia avrebbe assicurato negli ultimi giorni ai rappresentanti del settore, si sta cercando, ma ancora non è stata trovata. "Con l’aggravante" spiega il rappresentante delle aziende sociali presso il Cnel, Giampaolo Gualaccini, "che in base alla legislazione attuale a ricevere i contributi potrebbero essere non più di 5-600 soggetti, perché agli altri mancano i requisiti formali". Dunque, per poter dare davvero una mano alle imprese sociali, a un mese e mezzo dalla scadenza del 1° giugno, occorre non solo trovare i soldi, ma anche approvare una riforma, annunciata ma ancora non messa neppure in discussione.


Ansa

L’Europa paga se paga anche L’italia

Nessuno è riuscito finora a capire perché nelle slide di Renzi sia stata indicata la cifra di 3 miliardi di fondi europei. I fondi europei che l’Italia non è riuscita a spendere nel settennio 2007-2013 sono infatti molti di più. In teoria avremmo tempo fino al 2015, ma purtroppo non si vedono iniziative su questo fronte. La prima cosa da sapere è che i fondi comunitari non si spendono senza attivare fondi italiani. Anche se nessuno si è preso la briga di spiegarlo, i 3 miliardi di Renzi dovrebbero essere costituiti da un miliardo e mezzo di fondi europei più una cifra equivalente di risorse italiane. Dove pensa di andarla a recuperare il presidente del Consiglio? La lentezza nello spendere i fondi europei è una piaga che riguarda la struttura burocratica prima ancora dei governi e non è certo questione di oggi. Ma bisognerebbe tenerne conto prima di fare promesse. Tanto più che nuovi ritardi si stanno già accumulando anche nella programmazione 2013-2020.


Ansa

Un miliardo e mezzo che non c’è più

Qui la confusione è determinata dalla vicinanza, sia tematica sia di collocazione nella serie delle famose slide, fra il piano scuole e quello per la messa in sicurezza del territorio dal rischio di dissesto idrogeologico. Le risorse indicate per il primo sono di 3,5 miliardi e un altro miliardo e mezzo è stato promesso per il secondo. Nel Def, tuttavia, il piano scuola non è valutato 3 miliardi e mezzo, ma 2. Per questo ha già cominciato a circolare fra le associazioni di categoria l’idea che i 3,5 miliardi siano da intendersi come cumulativi delle due iniziative. Ma fa una bella differenza. Secondo la promessa iniziale, i miliardi messi in circolo nel settore dell’edilizia sarebbero 5, nel secondo solo 3,5. Quanto al miliardo e mezzo destinato al dissesto idrogeologico, va comunque sottolineato che anche questo non è frutto di risorse nuove: era già nella legge di stabilità di Letta.


Ansa

Gli 80 euro mensili saranno per sempre?

Annunciando riduzioni di spesa permanenti, sia Renzi che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, hanno lasciato capire che il taglio del cuneo fiscale di 1.000 euro netti l’anno sarà definitivo. Il guaio è che queste riduzioni di spesa non si vedono e una buona fetta delle entrate previste, dall’Iva sui pagamenti alle imprese alla rivalutazione delle quote di Bankitalia, è una tantum. Come se non bastasse, la Corte costituzionale ha appena bocciato (con una decisione passata quasi sotto silenzio) 7 miliardi di tagli dei trasferimenti alle regioni fra il 2012 e il 2015. La domanda è: riuscirà il governo ad assicurare la copertura della riduzione del cuneo nei prossimi anni? E i primi a porsela sono i sindacati. "Aspettiamo ancora di sapere" dice il segretario nazionale della Cisl Luigi Sbarra "se gli 80 euro in busta paga sono permanenti oppure no: non è certo una quattordicesima quello che serve in questo momento".


Ansa

Pagamenti accelerati ma non troppo

È la prima frustata che il presidente del Consiglio ha promesso di dare all’economia italiana, con l’annuncio di un brusco colpo di acceleratore all’erogazione dei denari dovuti alle imprese che forniscono beni e servizi allo Stato. La promessa choc del 12 marzo era di erogare ben 68 miliardi di euro entro luglio, accolta giustamente da un’ovazione generale. Peccato che il Def fissi la stessa scadenza a ottobre, ossia tre mesi dopo. Beninteso, arrivasse pure alla fine del 2014, sarebbe comunque un bel passo avanti rispetto al ritmo esasperante dei governi di Mario Monti e di Enrico Letta, che in un anno e mezzo si sono fermati a quota 22 miliardi. Il problema è che a distanza di meno di un mese dalle fatidiche slide il governo è già costretto ad allungare i tempi. Riuscirà almeno ad avvicinarsi all’obiettivo?


Ansa

La riforma più attesa ma con troppo sprint

L’importanza fondamentale di questa riforma è forse l’unica spiegazione plausibile dei vincoli proibitivi che il presidente del Consiglio si è assunto in materia. Il nuovo codice del lavoro, con tanto di indennità universale di disoccupazione e di riforma (attesissima) dei centri per l’impiego, è stato promesso entro sei mesi, ossia per settembre. Ma si tratta di una legge delega, e anche molto complessa. "Se si approvasse il 50 per cento dei suoi contenuti" dice Claudio Soldà, responsabile delle relazioni istituzionali dell’Adecco in Italia, "saremmo al livello dei paesi scandinavi. Ma sappiamo per esperienza che ben difficilmente si potrà arrivare in porto in tempi così rapidi". Stesso discorso per le risorse. "Non vedo come possa essere centrato l’obiettivo previsto all’articolo 6 della legge, ovvero una riforma dei servizi a costo zero". E siamo di nuovo all’annoso problema delle coperture su cui rischiano di infrangersi molte delle promesse di Renzi.


L’errore è stato mettere il 12 marzo certe promesse nero su bianco, con tanto di cifre e date di scadenza. Sul momento questo ha prodotto una meraviglia generale per lo stile di Matteo Renzi. Ma poi arriva il confronto di quelle slide con gli atti formali di governo. Il momento è arrivato con il varo del Documento di economia e finanza (Def), ossia la piantina stradale delle politiche economiche dei prossimi tre anni.

Mettere i due testi uno accanto all’altro per scoprire le eventuali differenze (o qualche formulazione volutamente generica per mascherarle) è un esercizio tutt’altro che indolore per la credibilità del presidente del Consiglio. A segnalarlo è stato anzitutto il "fuoco amico" del think tank Lavoce.info con quattro domandine semplici a firma del fondatore Tito Boeri, su temi come i veri conti della spending review, il costo del taglio al cuneo fiscale e la sua sostenibilità nel tempo, la reale portata delle riforme sul lavoro. Ma i punti critici sono in realtà molti di più.

La percezione diffusa è che la direzione di marcia sia per diversi aspetti quella giusta, ma dubbi e perplessità sui tempi e sui modi cominciano a circolare anche fra le parti sociali, per cui la scarsa chiarezza sugli impegni presi da Renzi equivale a un’incertezza di fondo su ciò che bisogna attendersi in futuro. Ed ecco, slide per slide, a che punto sono le promesse di Renzi.

YOU MAY ALSO LIKE