Le forbici e la gabbia: la pagina più sconcia di Proust

Non so se ci avete fatto caso, ma persino i più illuminati tra quelli che entrandovi in casa non hanno l’ardire di chiedere, davanti ai vostri 3218 volumi: «li hai letti tutti?», quando dite loro che avete letto la Recherche fanno sempre una faccia sconcertata. È più forte di loro: ostentano savoir-faire e gelida calma da sorci da biblioteca, ma poi all’angolo dell’occhio destro gli brilla la scintilla del sospetto, e devono sbottare: «ma l’hai letta tutta tutta?» e chissà poi cosa intendono con quel corsivo. Forse che 3218 libri sono pochi, ma 7 sono davvero troppi.

In effetti è così. Molte cene, mondanità architettonica, scenografica anzi, ma superficiale, leggera, come le porte di riso dei film di Kurosawa, che resistono agli uragani ma se ci si posa una farfalla si lacerano. Il Narratore, poi, non è il nostro tipo. Non è di quelli che quando una fanciulla sviene la sorreggono con una mano sola al centro della schiena continuando a fumare con l’altra (così mi piace), no. È inquirente ma passivo, geloso ma debole, colpevole ma non crudele. Insomma, quelli fatti come me non si divertono. Ma a un certo punto accade qualcosa. Nel 5° libro, La prigioniera, gli ambienti si irrigidiscono e si rabbuiano, la struttura dei periodi, per quanto sempre stirata allo spasimo e per quanto occorrano sempre buoni muscoli per scalarne l’arrampicata di subordinate, si fa più secca e dura.

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