La Tour Eiffel vale 5 Colossei? È il segno del degrado italiano

Il Colosseo vale cinque volte meno della Tour Eiffel, che da sola vale una volta e mezzo Milano (la Sagrada Familia a Barcellona supera il Duomo). Sorprendente? Scandaloso? Incredibile? Tutt’altro. La classifica dei brand europei del turismo, stilata dalla Camera di commercio di Monza Brianza e basata su uno studio che tiene conto di 10 parametri di vivacità economica, socio-culturali e imprenditoriali, non ha avuto a mio parere il rilievo che meritava nei giorni scorsi.

Per quanto pittoresca, la lista fa paura. Ci mette di fronte alla cruda realtà di un paese che non ha più fiducia in se stesso, ha perso la memoria e non è più in grado di valorizzare le proprie bellezze, il proprio patrimonio artistico e culturale. In qualche modo, quello studio mette in luce un fenomeno drammatico e significativo quanto e più della fuga dei cervelli all’estero. Ed è tutt’altro che sorprendente.

Il brand della Tour Eiffel “vale” oltre 434 miliardi di euro, quasi 5 volte i 91 miliardi del Colosseo. Il “valore di reputazione” della Sagrada Familia con 90 miliardi (pari al Colosseo) supera di 8 la quotazione del Duomo di Milano. Le sfilate di moda, la Scala, San Siro, il Duomo, il panettone e il design legno-arredo non bastano neppure lontanamente a pareggiare un traliccio di ferro che ha appena 123 anni di vita.

L’Italia è ferma. Le sue ricchezze appartengono, nell’immaginario europeo e soprattutto americano, a un passato remoto. Questo si sa da decenni, ma nessuno finora aveva quantificato la ricaduta economica dell’ignoranza e del degrado di un’Italia che non riconosce la grandezza della propria storia e l’inestimabile valore della propria eredità culturale. In tutti gli altri Paesi evoluti, non solo occidentali ma emergenti, la forza della proposta turistica e del prestigio nazionale è moltiplicata dalla capacità e determinazione con cui il patrimonio acquisito viene “messo in mostra”. I famosi 10 parametri che hanno portato a stilare la classifica-choc vanno dal valore economico del territorio alla conoscibilità del monumento, dal flusso di visitatori al numero di occupati nel turismo, dall’accessibilità multimodale dello stesso territorio alla presenza degli stranieri fino al valore dell’export. Si tratta di indici composti di valenza turistica e attrattività economica. E noi siamo tragicamente deficitari rispetto a chiunque altro e rispetto al tesoro che ci è stato consegnato dai nostri genitori.

Chiunque abbia viaggiato, avrà potuto apprezzare l’ingegno, la fantasia e l’amore con cui inglesi, francesi, tedeschi, e americani, sanno trasformare i siti turistici in attrazioni multiformi e luoghi di formazione e conoscenza. Al contrario, noi abbiamo lasciato per anni la Fontana di Trevi (insieme al Colosseo e ai Musei Vaticani) in mano ai tuffatori (truffatori) professionali che all’alba rastrellavano le monetine dei turisti sul fondo della vasca. E abbiamo consentito che il Colosseo fosse “arricchito” solo dalla presenza dei finti centurioni. Le nostre grandi opere d’arte, i nostri formidabili siti archeologici, cadono a pezzi.

Non solo perché sono numerosi e richiedono cura e soldi. Ma perché si è preferito investire in altro, perché la cultura, i beni culturali sono stati sempre visti come un settore a perdere. Una manna caduta dal cielo, che non può deteriorarsi e che basta recintare o affidare a custodi e burocrati. In tutto il mondo, musei e sistemi virtuali riescono a compensare la scarsità di risorse ereditate, mentre in Italia non siamo stati capaci neppure di garantire la mera manutenzione. E mai abbiamo inserito i monumenti in un contesto economico e sociale vivo e attuale.

Vergogna.  

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