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La Lega con il Ppe può mettere all'angolo i 5 Stelle ma anche Macron

Alle elezioni europee del 2014 trionfò Matteo Renzi, il Pd divenne il primo partito del centrosinistra continentale e per quattro anni governò.

Fra otto mesi si voterà per il nuovo Parlamento europeo e questa volta il successo potrebbe arridere all'altro Matteo. Le maniere forti con gli immigrati, in particolare il blocco della nave Diciotti della Guardia costiera, gli sono costate un'indagine dalla Procura di Palermo per sequestro di persona aggravato dalla sua funzione di pubblico ufficiale, cioè di ministro degli Interni.

Nondimeno, secondo i sondaggi, il 60 per cento degli italiani è d'accordo con Salvini. Cifre da record, ma non è scontato che si manterranno eguali fino al giugno 2019 né che la Lega goda della stessa popolarità.

Molto dipenderà dai risultati finora non brillanti del governo Conte soprattutto sul fronte economico. Ciò che rende meno probabile il ripetersi di un exploit paragonabile a quello del 2014 è che Renzi faceva parte del gruppo socialista europeo, il secondo per consistenza di tutto il Parlamento.

Viceversa, allo schieramento nazionalpopulista, pur in ascesa in tutta Europa, più che i voti mancano gli alleati e senza alleati a Bruxelles e a Strasburgo si fa poca strada. Se poi si sta nel Parlamento europeo solo per contestare l'Unione e l'euro, si conta ancor meno.

Per uscire dall'isolamento i sovranisti dovrebbero smussare la loro micidiale propaganda anti europea e a sua volta il Partito popolare europeo, prima forza politica del continente, dovrebbe abbassare il ponte levatoio. Ebbene, nel Ppe qualcosa si muove. Qualcosa e qualcuno.

Il qualcosa è il distacco crescente dai socialisti in preda a una crisi cronica che rischia di metterli fuori gioco. Il qualcuno sono gli esponenti del Ppe che apertamente vogliono dialogare con i sovranisti (la parola è un maquillage: se si gratta il fondotinta sovranista riappare il volto tumefatto dei nazionalisti più aggressivi). I qualcuno sono il presidente ungherese Viktor Orbán e il candidato presidente della prossima Commissione di Bruxelles, il tedesco Manfred Weber. Entrambi dialogano coi sovranisti a partire da una politica migratoria di rigida chiusura.

Se i popolari europei virano a destra cambiando spalla al loro fucile, Salvini si farà trovare pronto. Un'alleanza simile ha vinto in Austria, governa in Polonia, a Praga e in Slovacchia. Certo, non tutti nel Ppe sono d'accordo.

Angela Merkel si è piegata a Weber solo perché dai voti del suo partito - la Csu bavarese - dipende il suo stesso governo. Un'Europa a guida popolare/populista suonerebbe la campana a morto per l'asse franco-tedesco e per le ambizioni di Emmanuel Macron di guidare il rinnovamento europeo.

E in Italia? Già oggi i 5 Stelle soffrono l'esuberanza di Salvini. Se domani restassero isolati in Europa mentre la Lega si siede a cavallo di due diverse maggioranze - una a Roma, l'altraa Bruxelles- si dovrebbero rassegnare a fare le comparse nel timore che il ministro degli Interni stacchi la spina al governo Conte.

(Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Panorama in edicola il 13 settembre 2018)

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