Juve, non c'è due senza tre (ma la coppa non vien da sé)

Lo ammettiamo. Questa volta non abbiamo festeggiato in maniera forsennata e scomposta come due anni fa. E nemmeno come l'anno scorso. Sarà che avremmo preferito brindare il 5 maggio, sul campo e non sul divano; sarà che il livello del campionato italiano non è più quello di una volta; sarà che l'eliminazione dall'Europa League brucia ancora. Sta di fatto che l'urlo di gioia, questa volta, c’è rimasto un po’ strozzato a livello dell'epiglottide.

No. Non ci siamo abituati a vincere. Abbiamo sofferto troppo in questi ultimi dieci anni per fare la parte di quelli spocchiosi ed evidentemente superiori. E poi, diciamolo pure, questo scudetto, il 32esimo, è qualcosa di epico, magico, per certi versi inaspettato. Un capolavoro che andrebbe mostrato nei migliori musei del mondo, altro che Albo d'Oro. Per i record, certo, ma non solo. Perché vincere tre scudetti di fila è una cosa da pazzi. Nei campionati regolari, per dire, noi lo abbiamo visto fare solo a Capello con una squadra – il Milan di inizio anni Novanta – così perfetta da risultare quasi noiosa. Ecco la Juve di quest'anno è stata una macchina altrettanto perfetta. E forse per qualcuno altrettanto noiosa (non per noi). Un rullo compressore capace di asfaltare praticamente tutte le avversarie.

UN GRAZIE A CONTE E UNO ALLA SOCIETA'
Quindi grande, grandissimo Antonio Conte perché:

a) non era facile tenere alte le motivazioni della squadra dopo due anni di vittorie
b) qualsiasi altro allenatore, a un certo punto della stagione (quando i giochi sembravano fatti) avrebbe mollato, senza badare troppo alla Roma (e quindi facendosi rimontare)

Ma un plauso altrettanto vigoroso va alla società, e in particolare a Giuseppe Marotta e al suo calciomercato fatto di idee sostenibili. Marotta, non dimentichiamolo, è colui che con 12 milioni di euro ci ha “regalato” Tevez e Llorente. Uno che coi soldi ricavati dalla cessione di Matri, in pratica, si è portato a casa due pedine capaci di alzare, e di parecchio, il livello della squadra. E senza le quali, probabilmente, non staremmo qui a parlare del 32esimo scudetto.

MA PER L'EUROPA SERVE ALTRO
Eppure tutto questo ancora non basta per vincere in Europa. È bastato un Benfica ben organizzato (e ancor prima un Galatassary non irresistibile ma con 2-3 individualità di tutto rispetto) per sbatterci fuori dalle grandi competizioni continentali e mettere in evidenza tutti i nostri limiti. La mancanza di alternative in fase offensiva, tanto per cominciare, ma anche una certa difficoltà a neutralizzare gli attacchi delle squadre più tecniche oltre che una certa naturale predisposizione a farsi bucare in contropiede.

Intendiamoci, con un pizzico di fortuna questa Juve poteva anche arrivare in finale di Europa League. Ma non è questo il punto. Il problema è che raramente i Conte-boys hanno saputo dominare gli avversari europei come fanno invece in Italia. Se si esclude la partita di ritorno contro il Chelsea e la doppia sfida contro il Glasgow lo scorso anno, c’è stato sempre da sudare. Abbiamo sofferto pure col Lione e con la Fiorentina, a essere sinceri. Il sospetto è che a questa Juve in Europa manchino le giocate dei grandi interpreti, dei Del Piero, dei Nedved e dei Trezeguet, insomma i colpi di quei tenori cui bastano un paio di giocate per spostare l’inerzia di una partita. Le punizioni e gli assist di Pirlo e le intuizioni geniali di Pogba aiutano, per carità, ma evidentemente non bastano. Ché in Europa nessuno ti dà il tempo di alzarti la palla davanti all'area, farla scendere e tirare una sassata sul secondo palo come ha fatto il francese contro il Napoli.

COSA MANCA ALL'ORCHESTRA DI CONTE
Dice, sì ma l’Atletico Madrid è riuscito a fare grandi cose  anche senza i Del Piero, i Trezeguet, i Cristiano Ronaldo, i Messi o gli Ibrahimovic. Vero. Ma gioca un altro tipo di calcio rispetto a quello praticato da Conte, decisamente più prudente. Se si vuole continuare con il modello di calcio professato dal Mister salentino, servono giocatori capaci di interpretare uno spartito aggressivo, diciamo pure sfrontato. Altrimenti basta un una sponda di Drogba o un velo di Cavaleiro per sbatterci fuori.

Non stiamo chiedendo a Marotta di comprarci la luna. Ci accontenteremmo che proseguisse sulla (buona) strada intrapresa in questi anni cercando in giro per il mondo altri Pirlo, Tevez, Llorente e Pogba. L’importante è che si abbia la consapevolezza che a questa squadra manca qualcosa per vincere in Europa. Due esterni capaci di saltare l’uomo, ad esempio, ma anche un’alternativa di esperienza al centro della difesa (Ogbonna, al momento ci pare una scommessa, e anche piuttosto azzardata) e magari un centravanti giovane, intraprendente, impertinente.

Senza innesti di questo tipo, pare chiaro, la Juve può arrivare in fondo a una competizione europea soltanto passando per una via strettissima: giocando cioè una dozzina di partite senza sbagliare praticamente nulla. Il che è realisticamente difficile. Anche per una squadra che in Italia è praticamente perfetta.

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