L'Isis contro l'accordo Talebani-Cina sul petrolio

Il 5 gennaio, il governo ad interim afghano e la compagnia petrolifera e del gas cinese Xinjiang Central Asia Petroleum and Gas Co (Capeic) hanno firmato a Kabul un contratto per la produzione di petrolio che verrà estratto dal bacino settentrionale di Amu Darya. L'accordo è stato firmato alla presenza dell'ambasciatore cinese in Afghanistan, Wang Yu, e del vice primo ministro dei Talebani per gli Affari economici, il mullah Abdul Ghani Baradar, che ha detto che il patto «rafforzerà l'economia dell'Afghanistan e aumenterà il suo livello di indipendenza petrolifera», aggiungendo che il contratto di 25 anni «sosterrà la spinta dell'Afghanistan per l'autosufficienza». Il ministro delle Miniere e del Petrolio Shahabuddin Delaware ha osservato che i primi tre anni del progetto saranno esplorativi.

L’area del territorio sviluppato durante questo periodo sarà di 4500 km quadrati in cinque distretti di tre province: Sari-Pul, Jawzjan e Faryab. La quantità di petrolio in queste aree è stimata in 87 milioni di barili. Con l’espansione dell’esplorazione, la produzione giornaliera dovrebbe aumentare da 200 a 1.000 tonnellate. Il progetto dovrebbe fornire 3.000 posti di lavoro e il petrolio e i prodotti petroliferi dovrebbero essere lavorati nello stesso Afghanistan. Secondo i termini del contratto Capeic investirà fino a 150 milioni di dollari nel primo anno e 540 milioni di dollari nei tre anni successivi per esplorare cinque blocchi di petrolio e di gas. I blocchi si trovano in un'area di 4.500 km quadrati e il gruppo militante in 25 anni guadagnerà il 15% di royalty. La produzione giornaliera di petrolio inizierà a 200 tonnellate e salirà gradualmente a 1.000 tonnellate e si stima che i cinque blocchi contengano 87 milioni di barili di petrolio greggio. La Capeic costruirà anche la prima raffineria di petrolio greggio dell'Afghanistan e se non verranno rispettati tutti gli obblighi contrattuali entro un anno, il contratto verrà annullato. L’ambasciatore cinese a Kabul Wang Yu ha definito il contratto «importante per la crescita economica dell’Afghanistan e un buon esempio di cooperazione tra i due Paesi, che servirà ad attrarre ulteriori investimenti nel Paese».

I Talebani sperano che la Cina aumenti gli investimenti nelle ricche risorse del Paese, stimate in 1 trilione di dollari. Il gruppo militante vede gli investimenti come un modo per sistemare un'economia che è quasi crollata dopo che gli aiuti internazionali -che rappresentano il 40% del prodotto interno lordo della nazione- sono stati sospesi in seguito al caotico ritiro delle truppe statunitensi nel 2021. Prima che la Caipec entrasse in scena, Metallurgical Corp of China Ltd nel 2008 aveva vinto con un un'offerta di quasi 3 miliardi di dollari la gara d’appalto per estrarre uno dei più grandi depositi di rame dell'Afghanistan nella provincia di Logar, ma non ha mai fatto progressi a causa di una serie di ritardi per lo più legati alle preoccupazioni per la sicurezza. I Talebani dicono che stanno rinegoziando il contratto. I nuovi padroni dell’Afghanistan hanno ripetutamente chiesto alle aziende internazionali di investire nelle risorse naturali del Paese, anche se hanno attirato su di loro la condanna pressoché unanime per quanto stanno vivendo le donne afghane alle quali è impedita l'istruzione e il lavoro. La Cina, invece, ha sempre sostenuto che non interferirà mai negli affari del Paese.

Ma i cinesi sono diventati molto cauti nell’investire perché sono sempre più preoccupati per continui attacchi del gruppo dello Stato islamico in Afghanistan, come quello che ha preso di mira uomini d'affari e dirigenti cinesi in un hotel il mese scorso. In tal senso non passa settimana che sui canali dell’Isis vi siano violenti proclami contro i Talebani accusati di essere «infedeli›› e contro la Cina colpevole della feroce repressione degli Uiguri nello Xinjiang. Quello che spaventa Pechino (e gli americani) è il fatto che l’Isis Khorasan (Isis-K) riesce a colpire persino nelle strutture di sicurezza dei Talebani come avvenuto lo scorso 12 gennaio a Kabul, all’ingresso del ministero degli Esteri, che è situato nell’area più controllata e protetta della Capitale.

Generale di corpo d’armata Giorgio Battisti

Al Generale di corpo d’armata Giorgio Battisti che dal 13 febbraio al 16 giugno 2003 è stato il primo Comandante del contingente italiano in Afganistan, sia per la missione Nibbio 1 (nell'ambito dell'Operazione Enduring Freedom) sia per la missione Isaf, abbiamo chiesto un commento sulla situazione: «È stato un tipico attacco condotto con consolidate modalità e verosimilmente con la complicità di alcuni individui degli apparati Talebani. La strada che adduce al ministero degli Esteri, infatti, ha due posti di blocco situati ai due lati della rotabile dove tutti il personale e i veicoli in ingresso sono controllati dai servizi di sicurezza. Al momento dell'esplosione all'interno del ministero era presente una delegazione cinese e da fonti locali, da verificare comunque, risulterebbe che più di 40 persone siano perite nell’attacco, 20 dei quali erano funzionari del precedente Governo che ancora lavoravano al ministero. Il numero delle vittime non è tuttavia ancora certo: i Talebani hanno annunciato che 5 persone sono state uccise e 10 ferite, mentre l'ospedale italiano di Emergency ha comunicato 40 feriti gravi e 4 morti solo in questo nosocomio. Risulterebbe, e questo è sicuramente interessante, che tra le vittime non ci siano impiegati Talebani che lavorano al ministero degli Esteri. In ogni caso, questo ennesimo attentato dimostra l’incapacità del regime di garantire la sicurezza interna del Paese – come avveniva con precedente governo di Ashraf Ghani – sia per l’eterogenea provenienza delle formazioni talebane non sempre in accordo tra di loro (e alcune vicine all’ Isis-K) sia per il cambiamento della postura dei miliziani dell’Emirato islamico, che si sono visibilmente rilassati in gran parte del Paese. Centinaia di posti di blocco sulle strade sono stati smantellati poiché i Talebani non dispongono della forza per mantenerli attivi e, in ogni caso, non avvertono grandi minacce provenienti dai villaggi rurali che hanno ospitato i loro combattenti durante i vent’anni di insurrezione. Un vecchio detto locale, inoltre, riporta che l’afghano non si vende ma si affitta!».

Generale Battisti, com’è possibile che i Talebani abbiano fallito persino nel controllo del territorio?

«I Talebani che per vent’anni hanno combattuto il governo sostenuto dagli Stati Uniti, si trovano ora – a ruoli inversi – a dover contrastare un’insorgenza variegata e diffusa su tutto il vasto territorio. Ad un anno e mezzo dalla partenza dell'ultimo aereo statunitense da Kabul (30 agosto 2021), il regime degli ‘studenti coranici’ deve fronteggiare almeno due insorgenze che, per finalità diverse, contendono loro il controllo del Paese. Innanzitutto, lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante – Provincia di Khorasan, che conduce la lotta prevalentemente con sanguinosi attentati ai danni della popolazione effettuati nei centri di aggregazione (moschee, scuole, ospedali, ecc.), soprattutto di etnia hazara (sciiti), per dimostrare l’incapacità talebana di garantire, come avevano promesso, la sicurezza alla società afghana. Oltre all’Isis-K, devono contrastare l’azione del National Resistance Forces, guidato da Ahmad Massoud figlio del leggendario Ahmad Shah Massoud nella lotta anti-talebana degli anni ’90, e di altri gruppi armati costituiti da personale delle forze armate, di polizia e dell’intelligence del precedente governo. Oltre a ciò, i Talebani sono riusciti a entrare in contrasto, anche con violenti scontri a fuoco di confine, con tutti i Paesi vicini. Dall’Iran (sciita) che lamenta lo scarso o nullo controllo delle frontiere e la mancata protezione dell’etnia hazara, al Pakistan che denuncia l’ospitalità assicurata da Kabul ai Talebani pakistani, alle ex Repubbliche Sovietiche a nord che a loro volta subiscono attacchi da parte di gruppi terroristici che trovano rifugio in Afghanistan. Una critica situazione che dimostra sempre più la loro incapacità di mantenere il controllo del Paese, sia per la carenza di forze rispetto alla superficie della Nazione sia per i contrasti interni tra le varie formazioni etnico-geografiche talebane (quelli di Kandahar a sud, quelli di Jalalabad a Est, quelli del Nord, ecc.)».

Alcuni analisti sostengono che all’Isis-K oggi non interessa prendersi il Paese tuttavia, questo potrebbe accadere molto presto. È uno scenario possibile? E con quali conseguenze per l’area e per l’Occidente?

«Il Paese rischia di divenire il teatro di un esteso conflitto tra i Talebani, l‘Isis-K, saldamente presente in alcune aree al confine con il Pakistan, e i combattenti del Nrf. Valutazioni di vari servizi d’intelligence stimano in non più di 3.000-5.000 miliziani i combattenti dell’Isis-K; forze assolutamente insufficienti per ottenere il controllo del Paese a meno di alcune aree nel nord-est al confine con il Pakistan, ma ampiamente sufficienti per mantenere instabile il Paese e per destabilizzare l’intera Asia Centrale, espandendo il terrorismo in tutta la regione avvalendosi dell’alleanza con i gruppi jihadisti presenti. Mentre affrontano queste insorgenze, malgrado le ripetute dichiarazioni pubbliche, i Talebani non hanno smesso di assicurare ‘ospitalità’ ad altri gruppi jihadisti di natura (come al-Qaeda, jihadisti uiguri, ecc.) che storicamente hanno goduto della loro protezione. Questa situazione non appare più facilmente sostenibile dopo l'attacco americano con un drone che ha ucciso il 31 luglio 2022 il leader di al-Qaeda al-Zawahiri. La sua morte ha evidenziato le forti contraddizioni all’interno del governo degli ‘studenti coranici’ che, da un lato, ospitano queste formazioni jihadiste che continuano a condurre o promuovere azioni terroristiche a livello regionale o globale e, dall’altro, cercano di farsi riconoscere nell’ambito dello stesso sistema internazionale obiettivo di tali attacchi terroristici. Sebbene sia al momento improbabile che i gruppi anti-Talebani possano coalizzarsi e prevalere, conquistando Kabul, anche con il supporto straniero, tale situazione indebolisce le capacità talebane di contenere queste insorgenze e rischia di provocare una ‘guerra civile’ che può indurre i principali attori regionali (Cina, Pakistan, Russia, Iran e India) a intervenire direttamente per tutelare i propri interessi. Gli Stati Uniti, inoltre, hanno mantenuto una capacità over-the-horizon per colpire obiettivi terroristici da basi situate in altri Paesi».

Nonostante il fatto che nessuna nazione abbia ancora riconosciuto ufficialmente il governo talebano, Cina, Russia e Pakistan hanno mantenuto stretti legami politici ed economici. L'Afghanistan consuma 1,3 milioni di tonnellate di carburante all'anno, importate principalmente dall'Uzbekistan, dal Turkmenistan e dall'Iran.

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