L'inflazione corre, ma solo a causa del petrolio più caro

La recente tendenza al rialzo dell’inflazione proseguirà per i prossimi mesi ma dovrebbe ridimensionarsi già nel corso del 2019. L’indice dei prezzi (quello armonizzato Ue) ha segnato a luglio un rialzo dell’1,9 per cento e secondo le nostre previsioni potrà arrivare a toccare il 2,5 per cento nei mesi finali di quest’anno.

I settori con rincari e quelli in calo

Tuttavia, l’accelerazione dei prezzi in corso non rappresenta una vera inversione di tendenza rispetto a una dinamica inflazionistica che permane contenuta. Gran parte del rialzo è infatti dovuto all’aumento del prezzo del petrolio e di altre materie prime. I capitoli di spesa che evidenziano i maggiori rincari sono proprio quelli legati alle oscillazioni dei prezzi dell’energia e di altre risorse naturali: trasporti +3,9 per cento, bevande alcoliche e tabacchi+3,8 per cento e alimentari +2,5 per cento.

Gli unici settori con un calo dei listini sono le comunicazioni (-1,9 per cento, per via dei ribassi delle tariffe di telefonia mobile) e l’istruzione (-16,1 per cento, grazie alle norme che prevedono forti agevolazioni sulla contribuzione universitaria per gli studenti a basso reddito).

Il riflesso delle oscillazioni delle risorse energetiche

A causa dello specifico meccanismo di fissazione delle tariffe vigenti in Italia, le oscillazioni dei prezzi delle risorse energetiche si riflettono con ritardo sull’inflazione finale: per esempio, il consistente aumento dei listini di elettricità e gas scattato dal 1° luglio, rispettivamente +6,5 per cento e +8,2 per cento, riflette soprattutto il rialzo delle quotazioni energetiche di fine 2017-inizio 2018. In prospettiva, l’inflazione tornerà a decelerare nel corso del prossimo anno, se non altro per l’effetto statistico di confronto con il 2018.

La nostra previsione è che si torni a livelli dell’1,5 per cento per fine 2019.

Le tendenze della dinamica dei prezzi

Soffermiamoci sulle tendenze di fondo della dinamica dei prezzi. L’attuale situazione riflette soprattutto condizioni che riguardano il lato dell’offerta (i prezzi delle materie prime e soprattutto dell’energia, che vengono determinati dalle quotazioni internazionali) rispetto a quelle della domanda. Inoltre, l’andamento dell’inflazione appare determinato più da elementi esterni al nostro sistema economico che da fattori a esso intrinseci.

Costi delle imprese: ai rincari delle materie prime non si è accompagnata, almeno fino ai mesi recenti, una discontinuità nella dinamica del costo del lavoro. Le retribuzioni contrattuali del settore privato sono risalite solo di recente, al 2 per cento in giugno dopo il minimo storico dello 0,5 per cento toccato tra fine 2016 e prima metà del 2017. Le basse pressioni salariali derivano dal persistente elevato livello del tasso di disoccupazione, in riduzione più lenta che in altri Paesi industriali (10,9 per cento a giugno, dal record negativo di 13,1 per cento raggiunto tre anni e mezzo prima).

Il contenimento delle spinte salariali, accanto a un moderato recupero di produttività, ha determinato una dinamica del costo del lavoro per unità di prodotto pressoché stagnante.

Domanda interna: il recupero in corso di consumi e investimenti non è ancora sufficientemente vivace da provocare un’inversione strutturale nella dinamica dei prezzi. La ripresa in Italia (in ritardo e più lenta rispetto ad altre economie dell’eurozona) non è abbastanza rapida e inclusiva e anzi sta mostrando segnali di rallentamento.

Cambiamenti nel settore della distribuzione: il progressivo diffondersi da parte dei consumatori e delle aziende dello strumento delle vendite online ha un effetto deflazionistico, ossia di contenimento dell’incremento dei prezzi.

Sharing economy: è un fenomeno che si sta gradualmente diffondendo, ma è chiaro che un sempre maggior utilizzo di risorse condivise per la mobilità (auto, moto, biciclette) o per le vacanze (residenze estive o per svago) ha un effetto calmierante sul trend dei prezzi perché comprime la domanda dei beni interessati. L’insieme di tutti questi fattori spiega le tendenze moderate sul fronte dei prezzi. 

Perché l'inflazione italiana è più contenuta

L’Italia però mostra un andamento dell’inflazione più debole di quella osservata in altri Paesi europei. Negli ultimi due anni e mezzo, quasi sempre l’indice armonizzato italiano è cresciuto meno di quello sintetico per l’Eurozona. Il divario si è ridotto decisamente a luglio (1,9 per cento contro 2,1 per cento) solo per via di un fattore di calendario (l’inizio posticipato dei saldi rispetto al 2017).

Una possibile ragione della più contenuta inflazione italiana rispetto all’Eurozona è dovuta al maggior sottoutilizzo della capacità produttiva rispetto alla media dell’eurozona. In Italia, abbiamo un maggior numero di impianti produttivi non impiegati a pieno regime e un tasso di disoccupazione più elevato della media europea. Se una minore inflazione protegge il valore d’acquisto dei consumatori, una conseguenza indesiderata è invece legata al livello dei tassi di interesse espressi in termini reali, ossia al netto dell’inflazione. Tassi reali più alti, insieme con un’economia che cresce poco, rappresentano un elemento di potenziale vulnerabilità del debito pubblico italiano. Per tale ragione perseguire un percorso di graduale riduzione del rapporto tra debito pubblico e Pil resta prioritario. 


(Articolo pubblicato sul n° 35 di Panorama in edicola dal 16 agosto 2018 con il titolo "L’inflazione corre, ma solo a causa del petrolio più caro")

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