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Il malato di epatite C che non può curarsi

Rischia di trasformarsi in un delicato caso nazionale la vicenda giudiziaria di R.M.D.B., un milanese malato di epatite C.

Il 6 giugno la Procura di Roma gli ha posto sotto sequestro alla dogana di Ciampino tre confezioni di un farmaco salvavita che il malato aveva appena acquistato via internet in India, sostenendo che l'uomo avrebbe posto in essere il reato di "immissione nel territorio dello Stato italiano di medicinali privi della relativa autorizzazione": per questa fattispecie, una legge del 2006 prevede l'arresto da sei mesi a un anno e un'ammenda da 10 mila a 100 mila euro.

Eppure l'acquisto via internet era l'unica strada rimasta all'uomo per curarsi.

R.M.D.B. infatti ha contratto l'epatite alcuni anni fa e su consiglio del suo medico nel marzo scorso ha chiesto aiuto al Policlinico Granelli di Milano di Milano.

Le condizioni del paziente, però, non erano tali da rientrare nella casistica particolarmente grave che permette l'accesso ai costosissimi farmacisalva-vita (44 mila euro a confezione) formiti dal Servizio sanitario nazionale. L'ospedale ha sì prospettato al paziente una terapia, ma soltanto a partire dal 2017.

Nel frattempo, però, le condizioni di R.M.D.B. si sono aggravate tanto da rendergli difficile lavorare. Così il Policlinico, comunque nell'impossibilità di esaudire le richieste del malato, gli ha consigliato di acquistare i farmaci online. Attraverso internet R.M.D.B ha comprato tre confezioni di un medicinale prodotto in India: il Ledipasvir 90 mg, e il Sofosbuvir 400 mg.

Quando però il pacchetto è arrivato alla dogana di Ciampino, il pubblico ministero romano Lucia Lotti ha emesso un decreto di sequestro e ne ha successivamente ottenuto la convalida.

Secondo la Procura, l'importazione sarebbe stata effettuata senza alcuna preventiva autorizzazione, ed "esisterebbero altri farmaci autorizzati all'imissione in commercio sul territorio nazionale".

Difeso dalla penalista milanese Daria Pesce, R.M.D.B. ha fatto ricorso al Tribunale del riesame di Roma contro il sequestro: l'udienza, però, è stata prevista soltanto fra un mese, il 2 settembre.

L'avvocato Pesce ha chiesto al Tribunale il dissequestro delle tre confezioni, contestando alla Procura di Roma (anche in base alla giurisprudenza esistente) che la norma del 2006 "contrasta il fenomeno dell'importazione di farmaci destinati a essere commercializzati", non l'acquisto di medicine destinate esclusivamente a un uso personale.

Per di più, R-M.D.B. ha presentato all'Ufficio sanità aerea dell'aeroporto di Ciampino una regolare richiesta di importazione firmata dal suo medico curante: nella richiesta è specificato che "il farmaco non è sostituibile per il successo terapeutico con altri farmaci registrati in Italia" ed è stato ritenuto dal medico "indispensabile e insostituibile per la cura del paziente".

È del resto evidente che la stessa quantità di sole tre scatole esclude di per sé che l'importazione possa essere finalizzata a una qualunque commercializzazione.

"È inconcepibile” scrive l'avvocato Pesce nel suo ricorso "che un cittadino italiano sia costretto a ricorrere all'acquisto di un farmaco all'estero perché in Italia lo stesso medicinale ha costi proibitivi e la sua somministrazione non è garantita dal Sistema sanitario se non in casi-limite".

Posto di fronte al divieto di curarsi, costretto dai tempi della giustizia ad attendere l'udienza del 2 settembre, R.M.D.B. ha appena deciso di partire per l'India e di curarsi là.

L'avvocato Pesce, intanto, si appella alla tutela del diritto alla salute, garantito dall'articolo 32 della Costituzione. E sottolinea "la gravità di una situazione che rappresenta l'esatto contrario del principio  volto a garantire un adeguato sostegno sanitario per un malato, la cui dignità è stata pesantemente lesa".

La speranza è che nella vicenda intervenga al più presto il ministero della Salute, per fornire un'interpretazione autentica della norma. E per evitare il ripetersi di vicende come questa.




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