ANSA/ALESSANDRO DI MEO
News

Il gran cavallo è azzoppato

C’è un’altra Italia che ha dimostrato di poter essere forza di governo, che con maturità politica e lucido senso della realtà ha capito che solo l’aggregazione delle forze di centrodestra è garanzia per battere il Pd a immagine e somiglianza di Matteo Renzi. C’è ancora un’altra Italia, oramai superiore al 50 per cento, che non giudica l’offerta politica all’altezza e che diserta le urne. In mezzo a questi due dati ci sarebbero tante altre considerazioni da fare sul risultato delle elezioni regionali.

Mi limito a un paio: la forza dimostrata dal Movimento 5 stelle ci conferma che l’area del malcontento, unita alla bassa affluenza, finisce per essere ancora premiata ma non ha chance di governare. La seconda considerazione è sulla grande affermazione della Lega, che è riuscita a coagulare consensi grazie alla capacità di parlare all’elettorato con messaggi semplici e immediati. Ora si volta pagina.

Matteo Renzi farebbe l’ennesimo errore strategico nel sottovalutare il messaggio giunto dal voto. I suoi "cavalli", ossia i candidati come Raffaella Paita in Liguria e Alessandra Moretti in Veneto, hanno perso e pure assai male. Nessuno degli altri candidati Pd vincenti nelle altre Regioni si può dire di obbedienza renziana, anzi. A cominciare da Vincenzo De Luca in Campania, che ci regalerà adesso fuochi d’artificio e figuracce internazionali dal momento che obbedendo alla legge Severino dovrà essere sospeso entro un mese con decreto firmato dal premier-segretario che ha fatto campagna elettorale nei suoi confronti.

Renzi, per dirla con Silvio Berlusconi, "non è più colui che porta la vittoria". Dopo il 40 per cento alle europee di un anno fa, sbandierato in ogni dove da Renzi come legittimazione a governare pur non essendo stato mai eletto, oggi il Pd è costretto a fare i conti con percentuali anche dimezzate. I risultati in Veneto e Liguria, i due fortini dove Renzi con tutto il suo seguito ci ha messo la faccia più che altrove, sono la cartina di tornasole di una sconfitta cocente: nella prima Regione i consensi sono calati da 900 mila a meno di 500 mila, nell’altra da 323 mila a poco più di 180 mila che lievitano a 240 mila sommando anche il candidato fuoriscito dal Pd.

Con lo sguardo a vincitori e vinti, si può allora serenamente affermare che l’operazione rottamazione avviata da Renzi conosce una fortissima battuta di arresto. Si può addirittura prefigurare un’operazione di controrottomazione, nella quale a rischiare potrebbe essere lo stesso gruppo dirigente del presidente del Consiglio che, stando al risultato elettorale del 31 maggio, manca evidentemente di un radicamento nel territorio. Il centrodestra, a questo punto, ha l’occasione di evolvere verso un raggruppamento unitario in grado di sfidare nel 2018 Renzi (l’orrenda legge elettorale lo impone anche per evitare un ballottaggio tra Pd e 5 stelle) e di coltivare la legittima ambizione di governare l’Italia. Gli errori del recente passato (vedi Ncd o la lista Fitto) stanno lì a dimostrare che è puramente velleitario pensare di incassare i dividendi da una scelta di governo contronatura o, peggio, di essere autosufficienti.

Lega e Forza Italia devono avere la maturità di tenere insieme scontenti e moderati, sulla base di un programma condiviso e di un leader riconosciuto da tutti. Perché, al di là degli entusiasmi di quest’ultima settimana, una regione non fa primavera.

YOU MAY ALSO LIKE