Il federalismo non convince più gli italiani

La Legge Costituzionale 3/2001 fu varata dal governo Amato II e traduceva in norma il programma di revisione costituzionale del precedente Governo D’Alema. Furono sollevate non poche critiche: una legge di tale rilevanza venne emanata sebbene il governo fosse a fine legislatura e con, tra l'altro, la quasi certezza che il centrosinistra non sarebbe stato riconfermato (come poi avvenne).

La "riforma del Titolo V" attribuiva alle singole regioni la competenza esclusiva della legislazione nei campi della sanità, del turismo, dell'agricoltura, dell'industria e di molto altro. Di tutto ciò che non è espressamente citato essere competenza dello Stato.

Ad un anno dalle elezioni - si disse - fu voluta allo scopo di cercare di arginare il sentimento federalistico che la Lega Nord, una delle novità politiche del periodo, aveva portato con sé.

In ogni caso, oggi, i risultati di quel passaggio furono e sono tanto espliciti che tra le priorità del Governo Renzi, erede diretto di quegli stessi governi di centrosinistra, c'è "la riforma della riforma del Titolo V".

Anche gli italiani, in netta maggioranza, sono d'accordo. Il 59%, in evidente crescita rispetto al 53% del 2012. Non che gli italiani siano diventati improvvisamente statalisti (le ultime rilevazioni ci davano circa due italiani su tre favorevoli al federalismo fiscale) ma più probabilmente perché essi hanno capito che venti centri di spesa, allorché uno, sono molto più difficili da controllare. E a riprova di ciò, occorre sottolineare che questo sentimento aumenta proprio nelle regioni del Sud. Unici nettamente contrari, col 70%, sono gli elettori leghisti.

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