Il drone ti serve anche a tavola

Sono armi silenziose, micidiali, capaci di eliminare il nemico a distanza senza che sia messo in allarme. Ma oltre agli usi bellici i droni hanno un volto buono, innocuo: vengono per esempio impiegati da gruppi di animalisti per sorvegliare alcune specie a rischio estinzione in Madagascar, Congo o Groenlandia. Mentre la Matternet, una start-up californiana, li ha testati a Haiti per recapitare medicinali alle popolazioni in difficoltà.

È l’anticipo di quel che vedremo nei prossimi anni, quando queste macchine volanti diventeranno una presenza abituale nei cieli cittadini: saranno fattorini veloci e immuni al traffico, come dimostrato dalle catene di ristorazione Yo!Sushi e Domino’s Pizza, che stanno sperimentando con droni il recapito di cibo ai clienti. Di più: secondo l’Uavs, associazione del settore che ha studiato l’impatto economico di una loro adozione su larga scala, i droni potranno creare 100 mila posti di lavoro nei prossimi 10 anni negli Stati Uniti, generando fatturati per 13,7 miliardi di dollari. Ma la partita non sarà solo americana (o israeliana, altro paese leader nel settore): tre colossi della difesa del Vecchio continente, Eads, Dassault e l’italiana Finmeccanica, hanno appena scritto una nota congiunta per sollecitare i governi a investire in un programma europeo e produrre un drone di sorveglianza e sicurezza.

In ogni caso la mania pare inarrestabile. Solo l’Ar.Drone della Parrot ha venduto mezzo milione di esemplari e per comandarlo non servono complessi corsi di addestramento: basta un telefonino. O addirittura la sola forza del pensiero sfruttando le onde cerebrali, come dimostrato da un gruppo di ricercatori dell’Università del Minnesota. Ennesimi segnali del boom imminente. Se son droni, voleranno.

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