Il cavaliere d’Harmental: come nasce il mito di Alexandre Dumas

Ci sono almeno tre buoni motivi per leggere Il cavaliere d’Harmental di Alexandre Dumas che Donzelli manda per la prima volta nelle librerie italiane a distanza di oltre un secolo e mezzo dalla sua pubblicazione in Francia. Due sono prevedibili, la terza no.

Partiamo dalla prima, la vicenda storica. Raoul d’Harmental era un giovanotto della provincia di Nevers che aveva un paio di buone ragioni per odiare il duca Filippo d’Orléans, reggente di Francia dopo la morte di Luigi XIV, e in grado in un  battito di ciglia di soffiargli l’amante e il comando del reggimento. Ragioni, queste, che lo portarono presto a fare combutta con altri ribelli nella cosiddetta “congiura di Cellamare”, che puntualmente fallì, costringendo il giovanotto in una rocambolesca fuga, culminata da un amore sofferto e nel mezzo – come vuole il copione – duelli, fughe e tradimenti.

La vicenda che ispira il romanzo è dunque una tipica storia alla Dumas (e qui veniamo al secondo motivo per cui leggere il libro): pathos e cronaca si mescolano a puntino, con una certa dose di pressapochismo ma con la solita grazia narrativa che va riconosciuta allo scrittore francese.

Ciò che invece rende Il cavaliere d’Harmental diverso e se vogliamo singolare nella sua produzione è la genesi e il contesto. È infatti il primo romanzo storico di Dumas e coincide anche con l’avvio della controversa collaborazione con Auguste Maquet, da cui nasceranno tutti i principali capolavori.

Come racconta Claude Schopp nell’informata postfazione, infatti, è lo stesso Dumas ad ammettere – nel testo di una lettera presentata al processo in cui Maquet rivendicherà la paternità delle opere scritte e il relativo pagamento dei diritti – che dalle iniziali sessanta pagine presentate dal suo collaboratore nasce il nucleo originario del  Cavaliere d’Harmental.

Aggiungendo, con velenosa soddisfazione,  che lo stesso Maquet aveva solo l’immaginazione dei dettagli, e che quella “di fondo, che ho io, gli manca completamente; da lì viene la sua forza come pianta rampicante, e la sua debolezza come albero”.

Una cattivissima descrizione che – a distanza di un secolo e mezzo – rende però l’idea della grandezza narrativa di Dumas, consacrandone l’abilità, al di là dello scetticismo che continua a perdurare in certi salotti letterari.

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