Conte danza sulle macerie dell'Ilva, ma tace sui Benetton

Dovevano cacciare i Benetton da Autostrade con ignominia: invece, semplicemente, li hanno riempiti di soldi. Dovevano punirli: li hanno pagati, e profumatamente. E mentre i parenti delle 43 vittime del Ponte Morandi parlano di «fine della democrazia, ce li hanno uccisi un'altra volta», c'è un ex ministro che risponde al nome di Danilo Toninelli che ha pure il coraggio di festeggiare su Twitter: «Capitolo chiuso! Finalmente la sicurezza prevale sulla smania di profitto» ha detto, mentre i Benetton sguazzano proprio nel profitto dopo la chiusura dell'accordo. Questo per farvi capire in che mani siamo, e in che mani siamo stati con la gestione grillina delle infrastrutture e del patrimonio industriale italiano.

Giuseppe Conte, colui il quale giurava e spergiurava sulla revoca immediata della concessione alla famiglia veneta, oggi ha praticamente staccato il telefono: non sa, non risponde. Da premier, disse che la partita autostrade doveva concludersi in modo vantaggioso per lo Stato, mentre oggi la mano pubblica ricopre d'oro i Benetton: l'acquisto delle quote di maggioranza costa quasi 8 miliardi, di cui 2,4 pagato cash. Una sontuosa buonuscita che consentirà ai magnati di Ponzano di fare shopping in giro per l'Europa, alla faccia della madrepatria, del Ponte Morandi e degli automobilisti che per anni hanno versato i pedaggi nelle loro tasche.

Questa sarebbe una delle due grandi vittorie che consente al M5S di esultare. L'altra si consuma a Taranto, dove la corte d'appello certifica il disastro ambientale dell'Ilva, sfornando più di 300 anni di carcere per gli eredi Riva e una lunga lista di manager. Anche qui i grillini danzano sulle macerie: i deputati M5S scrivono una nota congiunta per celebrare «una sentenza storica». Il fatto che nel frattempo gli impianti siano sotto confisca, col rischio di spegnersi definitivamente, non li sfiora nemmeno. Il fatto che il futuro dell'acciaieria sia appeso a un filo, e a un futuro pronunciamento del Consiglio di Stato, e che la continuità aziendale sia in serio pericolo, tutto ciò non li riguarda.

Continuano a insistere su eterei concetti ecologisti, ma la verità è che un serio piano di rilancio dell'acciaio, che coniughi salute e lavoro in maniera sostenibile, la nomenklatura grillina, che pure su questi temi ha avuto a lungo responsabilità di governo, non è mai stato in grado non dico di scriverlo, ma nemmeno di immaginarlo. Stretti nella morsa di uno spirito antindustriale che considera il profitto la fonte di tutti i mali.

Il risultato in termini di consenso è sotto gli occhi di tutti, con i numeri del Movimento in caduta libera, e una crisi di leadership ormai avvitata su sé stessa. Basteranno le giravolte garantiste di Luigi Di Maio, a ripulire il M5s delle sue malefatte? Basteranno le omelìe vescovili di Giuseppe Conte su Facebook sul «rispetto della dignità degli esseri umani»? «Non saremo disponibili a scolorire i nostri principi e i nostri valori» ha detto l'ex premier, mentre Di Maio passava una mano di candeggina sul giustizialismo. Ammesso e non concesso che il gradimento politico si misuri in follower, siamo sicuri che il «tesoretto social» di cui si vantava Conte sia rimasto intoccato, di fronte allo sfacelo del Movimento? Con una differenza: se un partito si sfascia, si può sempre rifondare in fretta. Se nello sfascio trascinano anche il sistema produttivo italiano, il conto lo pagheremo noi.


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