Il giudice salva il migrante stupratore

L’accusa che gli hanno rivolto è pesante. Di quelle che - forse anche giustamente - quando sfiorano un maschio lo spediscono immediatamente sul patibolo e lo consegnano al linciaggio mediatico. Ma nel caso che stiamo per raccontare non è andata così, perché l’accusato è un richiedente asilo, e questo cambia tutto. Il protagonista è un uomo, un tunisino, che ha fatto richiesta di accoglienza in Italia e - nell’ attesa che la sua pratica fosse evasa - è stato collocato nella caserma Serena, hub per migranti nella città veneta che ospita circa 500 persone. È proprio nell’ex edificio militare che sarebbe avvenuta l’aggressione ai danni di una donna, anche lei migrante e richiedente protezione. Scrive Andrea Priante sul Corriere del Veneto che «la violenza si sarebbe consumata lo scorso febbraio. Stando al versione della vittima, il nordafricano l’avrebbe bloccata nei corridoi dell’hub per costringerla a un rapporto sessuale. In seguito alla denuncia, e all’iscrizione nel registro degli indagati, la prefettura ha provveduto a revocargli le misure di accoglienza e da allora il presunto stupratore ha perso ogni diritto a vitto e alloggio». Uno svolgimento dei fatti cristallino, almeno secondo la logica e il buonsenso. Chi sbarca in Italia chiedendo di essere ospitato dovrebbe se non altro mantenere un comportamento dignitoso. Di fronte a una pesante accusa di violenza sessuale viene da pensare che la soluzione più immediata sia proprio la revoca dell’accoglienza e il cortese invito a fare rientro nella nazione di origine. E invece no. Le cose sono andate in maniera molto diversa. Il tunisino accusato di stupro ha fatto ricorso al Tar del Veneto, sostenendo di essere stato ingiustamente privato dei benefici della accoglienza. E il tribunale gli ha dato ragione.



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