Il multimiliardario americano ultra progressista di origine ebraica da sempre contribuisce ad associazioni anti-Israele e vicine agli islamisti radicali. L’obiettivo? «Piegare la storia nella giusta direzione».
Nel disordine globale, c’è un teorema assodato. Dietro a ogni radicalismo ultrasinistro si cela sempre George Soros. Sicuro come l’oro. Anzi, come le vagonate di dollari elargite dal multimiliardario di origine ungherese. Persino stavolta, mentre infuria la guerra in Medio Oriente. Il grande burattinaio nacque da un’agiata famiglia ebrea sfuggita alle deportazioni naziste. Eppure la sua fondazione ultraprogressista, Open Society, ha lautamente finanziato negli anni organizzazioni che giustificano l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Il New York Post ha scoperto che i 13,7 milioni di dollari concessi negli Usa a Tides centers, gruppo dedito alla «giustizia sociale», sono stati poi girati ad associazioni no profit anti-Israele. Le donazioni inviate direttamente in Palestina, come Panorama è in grado di rivelare, sono però ben più consistenti. Ne beneficiano università, ong e istituzioni vicine ai terroristi islamici. Vedi l’Al-Quds Bard College di Beit Hanina, un quartiere arabo di Gerusalemme Est. Ha ricevuto quasi 4,7 milioni di dollari tra il 2017 e il 2021. Fondato nel 2009 grazie a una partnership tra lo statunitense Bard College, è la facoltà di «arti liberali» di Al-Quds: l’ateneo palestinese accusato di aver permesso, all’interno del campus, manifestazioni a favore di Hamas.
Nel marzo 2014 si dimette addirittura l’allora rettore: Sari Nusseibeh, uno dei più autorevoli intellettuali palestinesi. Alcuni studenti, a volto coperto, avevano mostrato in corteo foto di missili, inneggiando agli attacchi contro Israele. La stessa sorte tocca, qualche mese fa, a Mohammed Dajani, capo del Dipartimento di studi americani e direttore della biblioteca. L’anno scorso aveva deciso di portare alcuni universitari in visita ad Auschwitz, per visitare il campo di concentramento nazista in Polonia. Ma il viaggio didattico viene considerato un’intollerabile mossa filo palestinese. Dajani è tacciato di essere un «traditore» e un «collaborazionista» da colleghi, studenti e opinione pubblica. Lo minacciano di morte. Cercano di intimidirlo. Manifestano contro di lui. Fino a quando il professore non decide di presentare le sue dimissioni. In un’intervista al quotidiano israeliano Haaretz, racconta: «Speravo che almeno l’istituzione universitaria potesse sosteneva la libertà accademica e d’espressione». Invece, nemmeno il rettore lo difende. E nessuno, ovviamente, rifiuta quelle dimissioni.
Al-Quds è lo stesso ateneo che, qualche mese fa, decide di premiare l’avvocato Muhammad Alyan. È il padre del terrorista Baha, responsabile di un attentato dell’ottobre 2015 su un bus a Gerusalemme. Assieme a un complice, uccide tre civili israeliani e ne ferisce altri quindici. Eppure, anni dopo il padre riceve un premio internazionale come miglior avvocato per i diritti umani. Il principe del foro palestinese viene premiato per aver difeso Nadia Abu Jamaal, vedova di un altro terrorista: l’attentatore che, a novembre 2014, in una sinagoga ammazza cinque ebrei in preghiera e un agente di polizia. Del resto, nel campus, fa bella mostra un «Monumento ai martiri dell’Università di Al-Quds». Tra cui Muhannad Halabi, un ex studente di giurisprudenza celebrato come «eroico martire e detonatore della Terza Intifada». Nel 2016 pugnala una famiglia di israeliani che passeggia a Gerusalemme. Uccidendo l’uomo e un passante, che tenta di intervenire. La donna e il bambino vengono feriti.
Tra il 2016 al 2021, Open society decide di aiutare pure la Birzeit university di Ramallah, con quasi 2,4 milioni di dollari. Scopo dell’ultima donazione: «Fornire sostegno all’Istituto di sanità pubblica e comunitaria dell’ateneo per il suo lavoro sul benessere psicosociale collettivo nel mezzo dell’oppressione politica». Perpetrata dagli israeliani, ovviamente. Anche qui spadroneggiano i simpatizzanti dei terroristi. Alle elezioni studentesche, lo scorso maggio, trionfa la lista di Hamas. Ma la fondazione del filantropo americano sponsorizza pure borse di studio per la An-Najah national university di Nablus. Anche in questo caso, alle elezioni studentesche della scorsa primavera, trionfano movimenti legati agli estremisti. Il blocco islamista, affiliato a Hamas, ottiene la maggioranza dei seggi. Nella banca dati consultata da Panorama ci sono decine di finanziamenti destinati a «costruire democrazie vivaci e inclusive». Obiettivo inimmaginabile in Palestina. Soprattutto nella Striscia di Gaza, controllata da Hamas. Comunque sia: la fondazione creata dal filantropo americano, e adesso guidata dal figliolo trentasettenne Alex, si batte per vedere trionfare i diritti civili nella martoriata regione. Tra il 2016 e il 2020, 2,1 milioni di dollari sono dunque finiti ad Al-Haq, una delle ong che il governo israeliano ha inserito nella black list già a ottobre del 2021. Per Tel Aviv sarebbe una delle associazioni usate dai terroristi come «basi pulite» per ricevere aiuti dall’estero. Tra i quali, di conseguenza, ci sarebbero anche i cinque versamenti di Open society.
Tra gli scopi delle donazioni, dettagliate nell’archivio digitale della fondazione, spiccano motivazioni palesemente anti israeliane. Vedi il bonifico di 700 mila dollari inviato nel 2017: «Sostegno al lavoro sulla protezione e promozione dei diritti dei palestinesi e sul perseguimento della responsabilità israeliana rispetto alle violazioni nei territori occupati». Anche il centro Al Mezan è una delle ong considerate dal governo di Tel Aviv vicine a organizzazioni terroristiche. Nel 2021 riceve 450 mila dollari dall’impero del bene sorosiano: «Per supportare il beneficiario nel monitoraggio e la documentazione delle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario nella Striscia di Gaza». Si aggiungono ai 600 mila dollari già inviati nel 2019 «per monitorare e documentare le violazioni contro i palestinesi e perseguire la responsabilità degli abusi». Totale: oltre un milione di dollari, per sostenere le accuse contro il governo israeliano. I legami di Al Mezan con Hamas sono manifesti. Lo scorso marzo, per esempio, la ong con sede a Gaza partecipa a un evento del Centro internazionale per gli studi giuridici, affiliato al movimento islamico. Titolo: «I giuristi si confrontano con l’occupante». All’evento partecipano diversi leader dell’organizzazione terroristica: dal cofondatore, Mahmoud al-Zahar, al vicepresidente dell’ufficio politico, Mousa Abu Marzouq. Altri sei finanziamenti, per un totale di 1,5 milioni di dollari, sono destinati tra il 2016 e il 2021 ad Adalah, il centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele. Eloquente, anche in questo caso, il dettaglio della donazione: «Sostenere la tutela dei diritti dei palestinesi in Israele». Il giorno del massacro di Hamas, il 7 ottobre scorso, Adalah pubblica sui social la foto di un bulldozer che abbatte parte della recinzione di confine: «I colonizzatori israeliani credevano di poter intrappolare per un tempo indefinito due milioni di persone».
Un’altra generosa donazione finisce alla ong Airwars, «per sostenere la raccolta di dati come mezzo per documentare i danni civili a Gaza e in Israele durante gli attacchi del maggio 2021». Quelli duramente attaccati da Open society, che si è sempre spesa per la causa palestinese. Per esempio: il 19 agosto del 2022, sull’allora Twitter, la fondazione sorosiana scrive: «Chiediamo alla comunità internazionale di condannare i recenti raid delle forze armate israeliane negli uffici di gruppi della società civile palestinese rispettati a livello internazionale, compreso il nostro beneficiario Al-Haq, una delle principali organizzazioni per i diritti umani». Una delle ong considerate dal governo israeliano al servizio dei terroristi, appunto. E dopo la pioggia di missili lanciati da Hamas? Open society tace. Nessun allarmato post. Nessuna sdegnata reazione. Come ammette Soros, non a caso definito «il grande burattinaio», bisogna «piegare l’arco della storia nella giusta direzione». Omettendo, se necessario, la sanguinosa strage del 7 ottobre.