George Marshall, ne servirebbe uno anche oggi

“E questa sarebbe la svolta a sinistra? Ma mi faccia il piacere! Svolti a destra e prenda il treno”. Totò, dixit. Parecchi anni fa, intendiamoci. Ma alla luce del trionfo di François Hollande all’Eliseo verrebbe da ribadire: “Ma mi faccia il piacere! Davvero!”. Perché va bene impostare la campagna elettorale sulla linea anti-rigorista di Angela Angie Merkel ma pensare di dare un calcio definitivo alla disciplina di bilancio di stampo Ue è irrealistico. Nonché controproducente.

Semmai si tenterà di passare dalle parole ai fatti sul tanto acclamato “patto per la crescita”. Come dire: il rigore resta. Ma a quello vanno aggiunte misure concrete per rilanciare l’economia. Giusto? Giusto! Peccato che sulla scena internazionale manchi all’appello un George Marshall capace di assicurare a chiunque li richieda bigliettoni verdi a pioggia perché possa uscire dalla crisissima del dopo-guerra e sposare in toto la disciplina del libero mercato. Marshall chi? Quel Marshall? Esattamente.

La memoria corre al segretario di Stato Usa che nel 1947 lanciò sotto traccia o quasi il “Piano per la ripresa europea” (European recovery Program, E.R.P.), ossia il più imponente programma d’aiuti a perdere (almeno sul fronte economico) mai messo a segno. In soldoni: 17 miliardi di dollari, pari al 5% del Pil statunitense di quell’epoca. Servì? Eccome.

Permise in 4 anni appena -tanto durò l’intero programma mai rinnovato a causa dello scoppio della guerra di Corea (1951)-, ai Paesi beneficiari di tornare ai livelli di produzione pre-bellica. E c’è chi fece persino meglio. Italia, compresa. È come se oggi qualcuno aprisse i rubinetti e consentisse ai malconci membri della Vecchia Europa di ritornare ai fasti del 2007 quando non c’era o quasi traccia di crisi.

È possibile? Realisticamente parlando: no. Non è possibile. Ma qualcosa va fatto. E possibilmente in fretta. Per ora gli “scerpa” della diplomazia Ue si muovono in ordine sparso. Perché c’è chi punta sugli stimoli fiscali e chi vorrebbe mettere a segno riforme strutturali. E non è esattamente la stessa cosa. Anzi. Quindi? Si aspetta e si spera. Con buona pace del decisionismo di quel George Marshall che in poche ore chiese e ottenne dal Congresso Usa il malloppo necessario.

Una postilla: almeno i nomi dei 2 piani si assomigliano. Ai tempi fu “il piano per la ripresa”, oggi è “il piano per la crescita”. Che sia di buon auspicio?

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