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ANSA/ GIUSEPPE LAMI
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Gentiloni, i punti di forza del suo modo di governare

Meno parla e più ci piace. E si sprecano gli aggettivi: «felpato», «prudente», «mite», «moderato». «Come una camomilla a un malato terminale» lo ha invece definito il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio.

La verità è che Paolo Gentiloni si sta vestendo da premier ma senza cerimonie, si sta spogliando del ruolo di supplente ma senza pretendere il posto fisso. Insediatosi con l’aria dimessa, Gentiloni era infatti il presidente a termine che Matteo Renzi aveva indicato per gli affari correnti e non per le decisioni importanti.

Di transizione - come quando venne chiamato al ministero degli Esteri in sostituzione di Federica Mogherini, promossa in Europa ma scomparsa in Italia - Gentiloni è stato investito presidente del consiglio per necessità storica: «Sarà un governo di responsabilità – annunciò in parlamento – e andrà avanti fino a che avrà la fiducia».

Gentiloni si è introdotto, nella stessa maniera di Sergio Mattarella, tramite il silenzio che sta tornando a essere una virtù e un talento e non più l’insopportabile distanza del potere, il difetto dell’uomo inconcludente.

Senza stupire ma argomentando, Gentiloni ci sta dunque abituando al comando senza il bastone, alla fermezza ma senza l’autorità. Da premier ha risposto a ben 33 domande della conferenza di fine anno; interrogato dai cronisti ha ribadito più volte la continuità con Renzi ma solo per mostrarne l’alterità; ha sempre parlato di gratitudine ma per meglio disinnescare la fretta elettorale dei renziani.

Nei giorni in cui la sinistra è in pieno esodo e si frantuma, Gentiloni riesce nel miracolo di unire Renzi, che adesso ne pretende la permanenza fino a fine legislatura per riprendere fiato, e Massimo D’Alema, che confida nella tempra di Gentiloni per sfibrare e “rimuovere” l’avversario.

Sommergendosi nelle direzioni e nelle assemblee del Pd, dove ha sempre partecipato ma non è mai intervenuto, Gentiloni è riuscito finora a salvaguardare il suo governo e a proteggere perfino Maria Elena Boschi che oggi, forse, ci piace di più perché è meno madre costituente ma sicuramente più dotta nell’amministrazione, quella che sta imparando a conoscere nel ruolo di sottosegretario.

Per chi non lo ricordasse, Gentiloni è sì figlio dell’aristocrazia romana, conte il padre, ma è concreto come i veneti e dunque come la madre che è lontana parente dello scrittore Antonio Fogazzaro, uno che appunto conosceva “il piccolo mondo antico”.

In questi giorni in cui davvero si insedia per rimanere, Gentiloni sta dimostrando come la disobbedienza giovanile (era capo del movimento studentesco al Liceo Tasso di Roma) può essere disciplinata dall’età ed essere garanzia di riflessione futura, così come i capelli lunghi da studente possono tradursi nel buonsenso sovversivo.

Senza sbattere i pugni ma sollevando pensieri, Gentiloni è riuscito a sedurre perfino Angela Merkel quando pochi giorni fa, al vertice di Versailles, ha parlato di «un’Unione Europea più integrata ma che possa consentire diversi livelli di integrazione». L’intervento di Gentiloni a Versailles è durato sei minuti, 18 quello di fronte alla Camera per chiedere la fiducia.

Come si vede, sono tempi brevi ed esatti, sono discorsi da clessidra e non da cattedra. Sposato con Emanuela Mauro, un architetto apprezzato quanto discreto, Gentiloni ha fatto del respiro la misura del mondo, «il mio governo è nato con il fiatone». È un uomo di virgole e non di punti esclamativi: «Se dovessi scegliere un aggettivo per il mio governo vorrei che fosse ‘rassicurante’».

Forse è per questa ragione che ha preferito il salotto dell’intramontabile Pippo Baudo all’arena di Massimo Giletti e scelto la sedia di Domenica In rispetto alle poltrone di Domenica Live di Barbara D’Urso che, si sa, piaceva molto a Renzi. Ebbene, per la prima volta, dopo tanti anni, un premier non brama alla popolarità che ubriaca ma all’efficacia che, a volte, scontenta: «Chi governa non deve cercare popolarità, deve cercare di risolvere i problemi, se è possibile» ha infatti aggiunto sempre di fronte Baudo che apertamente annuiva e lo lodava.

Sono solo passati tre mesi da quando Gentiloni e la sua squadra di governo giurarono fedeltà alla Repubblica. Chi se lo ricorda? In quel pomeriggio, che colpì per i pochi fotografi e per i colori spenti, davvero si stava cambiando verso senza girare pagina. Se è vero che Gentiloni ha sempre difeso il governo Renzi, altrettanto vero è che il suo governo è la migliore prova dei limiti del precedente, è la seria testimonianza di come si possa essere renziani senza per forza essere servili.

Insomma Gentiloni sta provando che anche i colori sbiaditi possono incendiare perché, come pensava Lucio Dalla, “l'impresa eccezionale / dammi retta è essere normale”.

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