«Sul gas paghiamo l'eccessivo liberismo di un'Europa divisa»

Bollette alle stelle, gaso cresciuto di 20 volte rispetto ad una anno fa, economia in crisi, famiglie che non sanno come pagare le bollette e l'Europa che ancora una volta fatica a dare una risposta forte al problema. Quello del caro energia è il principale tema di discussione e preoccupazione in Italia e non solo dove si pagano gli errori di strategia e visione di decenni di politica miope. Una crisi dalle colpe precise con errori da non ripetere, come ci spiega Vittorio Daniele, economista dell'Università Magna Graecia di Catanzaro.

Professore, è da diversi mesi ormai che i prezzi del gas e dell’energia elettrica sono aumentati, gravando su famiglie e imprese. Quali sono le ragioni?

«In effetti, l’aumento dei prezzi dell’energia è cominciato nella seconda metà del 2021, quindi molto prima dello scoppio del conflitto russo-ucraino. In quei mesi, l’OPEC-plus, l’organizzazione che raggruppa 23 paesi esportatori di petrolio, tra cui Arabia Saudita e Russia, mentre la domanda globale di energia cresceva, ha aumentato solo gradualmente la produzione di greggio, spingendo verso l’alto i prezzi. Nello stesso tempo, in Europa è lievitato anche il prezzo del gas, per diverse cause, tra cui l’aumento della domanda della Cina e i vincoli nelle forniture dalla Russia. Per esempio, già nel 2021, le forniture russe attraverso i gasdotti Yamal e Ucraina erano inferiori ai volumi mensili storici medi. Con lo scoppio della guerra, il prezzo del gas in Europa è salito ulteriormente».

Ci aiuti a capire il perché di questi aumenti…

«Il prezzo del gas naturale in Europa è fissato sulla base dei futures al TTF (Title Transfer Facility), un mercato virtuale con sede in Olanda che appartiene all’americana Intercontinental Exchange (ICE). Come mostra l’elevata volatilità dei prezzi, il mercato TTF non riflette solo le effettive condizioni di mercato, effetto dell’incertezza sulle forniture della Russia, ma è soggetto a speculazione da parte dei grandi operatori. Da più parti si richiede, oggi, una modifica del mercato del gas».

Le conseguenze dell’aumento dell’energia elettrica per famiglie e imprese stanno diventando insopportabili.

«Non c’è dubbio. Il prezzo del gas spinge verso l’alto quello dell’energia elettrica, e per le famiglie c’è non solo l’aumento delle bollette: infatti il costo dell’energia grava sulle imprese che, perciò, sono costrette ad aumentare i prezzi dei beni e dei servizi che producono. L’inflazione che ne consegue, attualmente all’8,5%, riduce il potere d’acquisto, soprattutto per le famiglie di dipendenti e pensionati con redditi medio-bassi. Nel frattempo, gli elevati prezzi del gas generano enormi profitti per le grandi società del settore energetico. Bene hanno fatto i governi che hanno deciso di tassare gli extra-profitti di queste società, sebbene, nel caso italiano, il gettito sia stato inferiore alle aspettative».

Forse sarebbe il caso di rimediare…

«Certo, ma i provvedimenti di sostegno non sono sufficienti. Andrebbero rivisti anche i sistemi di determinazione dei prezzi del gas e dell’elettricità. Nelle borse europee dell’energia, il prezzo al quale vengono remunerati tutti gli impianti le cui offerte sono accettate nel mercato, è quello del cosiddetto “impianto marginale”, che è quello col prezzo più alto ed è quasi sempre alimentato a gas. Ma gli impianti hanno costi diversi: quelli che utilizzano fonti rinnovabili, la cui quota di produzione è molto cresciuta nel tempo, hanno costi variabili prossimi allo zero, ma, di fatto, il prezzo dell’energia è determinato dall’impianto a gas più costoso. Esistono alcune proposte per modificare questo sistema, ma ciò richiede interventi a livello europeo».

L’elevato prezzo dell’energia elettrica sta avendo pesanti ripercussioni su una molteplicità di settori economici, con conseguenze difficili da prevedere.

«L’impatto sta lasciando il segno, con riduzioni marcate nella produzione industriale. Si pensi, ad esempio, che quasi il 50% della capacità di produzione di alluminio e zinco dell’UE è già stata ridotta dalla crisi energetica. Numerosi impianti industriali del settore hanno chiuso o tagliato la produzione».

E le conseguenze non sono solo occupazionali.

«Purtroppo no, se consideriamo che i metalli di base, come quelli delle batterie, sono indispensabili per le infrastrutture di rete europee, i veicoli elettrici, i pannelli solari, le turbine eoliche e gli elettrolizzatori a idrogeno. Il che significa che la crisi in un settore si trasmette ad altri collegati. Tutte le industrie a elevata intensità energetica, come cemento, acciaio, prodotti chimici e fertilizzanti e le cartiere sono colpite dal “livello estremo” dei prezzi. La crisi energetica comincia a produrre effetti anche in Italia, con molte piccole e medie imprese che non potranno sostenere a lungo costi così elevati».

Alcuni esempi paradigmatici: in assenza di misure urgenti ed efficaci, la crisi energetica avrà un impatto enorme in tutti i paesi.

«Molti governi si sono mossi: il tetto ai prezzi del gas in Portogallo e Spagna sta consentendo ai consumatori di risparmiare circa il 20% sulle bollette dell’energia elettrica. In Spagna, inoltre, è stata ridotta l’Iva sull’elettricità e sul gas. Misure importanti di sostegno alle famiglie sono state introdotte anche in Germania, nel Regno Unito e nel nostro paese, sebbene la crisi attuale renda necessari altri provvedimenti. Ma il problema energetico richiede anche misure strutturali perché, essendo destinato a durare, non si può risolvere coi sussidi».

In realtà la questione non è soltanto tecnica, ma soprattutto politica…

«Certamente. Vediamo come in Europa non ci sia, al momento, accordo sulle misure da intraprendere. È il caso della proposta d’introdurre un tetto sul prezzo del gas. I governi hanno visioni e interessi differenti, per cui decisioni così importanti e urgenti vengono rinviate. Non si tratta solo di risolvere problemi tecnici, ma di condividere delle scelte politiche».

In ogni caso è necessario non creare distorsioni al mercato europeo, già fortemente distorto da quanto sta accadendo.

«Ormai è evidente che i meccanismi di formazione dei prezzi del gas e dell’energia elettrica vanno rivisti. Ha ragione il premier spagnolo Sánchez quando afferma che l’Europa deve riformare il mercato dell’energia elettrica “una volta per tutte”. La riforma è possibile e necessaria. È il mercato stesso a creare distorsioni, i cui costi ricadono sui cittadini e sulle imprese, mentre enormi profitti vanno a poche grandi imprese e alla finanza».

Ma l’Europa non ci sta certo aiutando!

«Secondo i criteri del liberismo che ne ha guidato le politiche, l’Europa ha affidato interi settori, essenziali per i cittadini e strategici per l’economia, ai mercati. Ma dei mercati non si può essere succubi, così non lo si può essere delle grandi multinazionali o della finanza. Quando necessario, vanno introdotte nuove regole o modificate quelle esistenti, altrimenti le conseguenze ricadono su famiglie e imprese».

Ancora aleggia lo spettro della crisi greca di una decina d’anni addietro.

«Dopo la crisi del 2011, la Grecia venne sottoposta a un durissimo programma di risanamento dei conti pubblici che prevedeva il taglio delle pensioni e delle spese sanitarie, privatizzazioni, mobilità e licenziamenti degli impiegati pubblici e la vendita di parte del patrimonio statale. Quel programma di austerità, che comportò grandi sacrifici alla popolazione greca, era stato concordato dal Fondo Monetario Internazionale diretto da Christine Lagarde (oggi alla BCE), dalla BCE, presieduta da Mario Draghi, mentre l’Eurogruppo era presieduto da Jean-Claude Juncker (già ministro delle finanze del Lussemburgo, uno dei "paradisi fiscali" europei)».

È cambiato qualcosa in dieci anni?

«Il Pil per abitante è diminuito di quasi il 15%, il tasso di disoccupazione supera il 12%, il deficit corrente è del 14%, gli investimenti esteri diretti hanno subito un tracollo. Il debito pubblico greco, invece di diminuire è aumentato, raggiungendo quasi il 200% del Pil. Degli oltre 250 miliardi di euro di aiuti stanziati, solo una piccola parte è andato ai greci. Come facilmente prevedibile, la “cura” ha aggravato le condizioni del paziente».

Sia sincero, professore, l’Italia rischia di seguire la sorte greca?

«No, perché diverse sono le condizioni e il contesto. Ma certo il nostro paese si trova in una situazione non facile, considerato l’elevato debito pubblico. La politica monetaria restrittiva della BCE, che ha aumentato i tassi d’interesse, non aiuta. Per le famiglie e le imprese aumenta il costo dei mutui a tasso variabile, ma ci saranno effetti anche sul debito pubblico».

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Vittorio Daniele è ordinario di Politica economica all’Università Magna Graecia di Catanzaro. Oltre a numerosi articoli scientifici su riviste internazionali, ha pubblicato anche i seguenti libri, editi dalla Rubbettino: La crescita delle nazioni. Fatti e teorie (2008); Il divario Nord-Sud in Italia 1861-2011 (2011) (con Paolo Malanima) e Il Paese diviso. Nord e Sud nella storia d’Italia (2019).

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