Fra me e lei c’era un abisso in cui avrei voluto gettarmi

È un attimo ben preciso: quando risulta che colui o colei che amiamo è la stessa persona, tra tutte quelle che vivono, che non dobbiamo amare. O forse è un istante prima, quando i contorni dei suoi occhi non rimandano più la nostra immagine, o quello immediatamente dopo, quando in quel volto a noi interdetto è dipinta l’indifferenza. Lui, lei, non è all’altezza di ciò che ci ha ispirato, eppure nessuno è altrettanto capace di sbarazzare la nostra vita da tutto quello che ci fa male.

È l’attimo che Stendhalfa seguire a tutte le cristallizzazioni e che anticipa, e forse elimina, la possibilità della delusione. È un attimo rispetto a cui la fine dell’amore sarebbe niente. Perché è puro «inabissamento», sofferenza senza contropartita, «squagliamento» di fronte a un altro che non ci guarda più. Se Adorno scrisse: «Sei amato dove puoi mostrarti debole senza provocare in risposta la forza», qui non c’è più a chi mostrarsi: come verificarne la “risposta”?



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