Enrico Letta: le dimissioni dal Parlamento di un uomo fuoriposto

È ritornato per andarsene. Enrico Letta entra nella schiera degli italiani fuoriusciti.

E infatti mentre ieri da Fabio Fazio annunciava il suo autoesilio scolastico, “a settembre mi dimetterò dal parlamento. Guiderò la scuola d’affari internazionali dell’università di Parigi”, in Letta si disegnava la smorfia dell’incompreso, veniva alla luce per la prima volta la dimensione dell’uomo fuori posto. Inadatto ai tempi veloci, l’ex premier ha contrapposto alla furia di Matteo Renzi, il passo lento dell’uomo che riflette, il rovello del decidere. Insomma, più parlava e più Letta sembrava unfit a questa Italia che adesso ha imparato la slangopedia rottamatrice, che ha preso più dimestichezza con gli hastag che con il codice civile.

Entrato a palazzo come si entra nelle cristallerie, Letta si è subito mosso con quel “cacciavite” che subito Renzi maltrattò, “qui serve il caterpillar”, si è dissipato nella concertazione che l’ex sindaco non solo ha abolito ma ha archiviato come rito d’epoca, vecchio arnese di stagione. Ebbene, se ancora ce ne fosse bisogno, ieri si è fatta ancora più chiara la distanza tra due modi d’intendere il comando, due temperamenti che si combattono perché l’uno è ciò che rimprovera l’altro. Letta è il meglio della pazienza, Renzi il meglio della intraprendenza, a volte l’eccesso della spavalderia. C’era infatti tutta la scienza di Beniamino Andreatta, il maestro di Letta, quando l’ex premier rimproverava il politico che cavalca il “vuole la gente” o quando da giocatore che non riesce ad avere il coraggio del pokerista ammoniva la “logica del rilancio continuo. Oggi una promessa, domani un’altra perché alla fine il bluff viene scoperto”.

Letta possiede l’esprit de l’escalier, quella particolare disposizione d’animo dell’uomo che non sa rispondere alla provocazione se non in fondo alla scala, appunto come diceva Denis Diderot, solo dopo che si è incassata l’offesa. Nel breve interludio del governo Letta, a pensarci, non si ricorda nulla se non la perseveranza nel resistere, lo sguardo d’intesa con Angelino Alfano quando con una giravolta repentina Silvio Berlusconi decise di votare la fiducia e dunque permise a Letta di rimanere in carica poche settimane ancora, prima che Renzi lo defenestrasse. Letta torna con un libro che nel titolo è già manifesto programmatico “andare insieme, andare lontano”, e annuncia la fuga all’estero come medicamento, come in passato hanno fatto Arturo Toscanini, Gaetano Salvemini, Giuseppe Prezzolini che dopo la dittatura non vollero in Italia più tornare. E rinuncia alla pensione da parlamentare che troppe volte è stata la polizza del deputato che dice di ritirarsi ma ritira il vitalizio.

C’è già chi crede che il ritiro sia solo un modo per organizzare la ripartenza, farne il vero competitore contro Renzi. Eppure anche ieri che finalmente ha parlato a distanza di un anno dall’addio, da quel passaggio della campanella che lo vedeva soccombente, anche ieri sembrava che la “quaresima mediatica”, come Letta l’ha chiamata, dovesse proseguire. Chi si aspettava il veleno ha trovato il lucore del politico malinconico, non lo sfogo ma la rinuncia. Certo, Letta citando Emma Bonino ha detto che dalla politica non ci si dimette, ma come sa bene la Francia è stata sempre l’Italia come la vogliono i patrioti disadattati.

Non è infatti un caso se la Francia sia stata la casa di Renzo Piano, Umberto Eco, in passato di Italo Calvino… oggi appunto di Letta. Letta ha il profilo da europeista nel paese che non solo è contro l’Europa ma che vorrebbe uscirci, ha l’allure del liberale nella nazione che per dirla alla Longanesi applaude l’abuso di potere mitigato dal consenso popolare. Mentre si accingeva a giurare battaglia sulle riforme “che vanno fatte con la più ampia maggioranza”, Letta era ancora convinto che si potesse fare opposizione con la civiltà della parola e non con il cinismo “perché io detesto House of Cards”. Ecco, fuoriesce un altro degli antitaliani: tutti convinti di ritornare, tutti altrettanto certi dell’impossibilità di rimanere.

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