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Economia

Enel, così lo Stato fa cassa con le privatizzazioni

Circa 2,2 miliardi di euro. E' la somma che il governo italiano si appresta a incassare con la vendita di un pezzetto di Enel, corrispondente al 5,7% del capitale dell'ex-monopolista energetico, per un totale di 540 milioni di azioni. La quota del Tesoro nel capitale della società è scesa così dal 31,2 al 25,5% mentre la cessione delle azioni, avvenuta con un'operazione-lampo che sarà regolata il prossimo 2 marzo, ha visto nel ruolo di compratori soltanto soggetti qualificati, cioè gli investitori istituzionali. Il collocamento sul mercato dei titoli, al prezzo di 4 euro ciascuno, è avvenuto attraverso un pool di gruppi bancari composto da Bank of America-Merril Lynch, Goldman Sachs, Mediobanca e Unicredit.


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Con la privatizzazione di un fetta di Enel, dunque, lo stato ha riaperto le danze delle privatizzazioni, seguendo il piano già messo in cantiere dal governo Letta nel 2013. Tuttavia, restano al momento difficilmente raggiungibili gli obiettivi fissati da Renzi e dal ministro dell'economia, Pier Carlo Padoan, che puntano a portare nelle casse dello stato almeno 11 miliardi di euro all'anno, entro il 2018. Già nel 2014, si è visto infatti che la strada delle privatizzazioni presenta alcuni ostacoli tutt'altro che trascurabili, anche se le borse viaggiano con il vento in poppa e c'è in teoria un clima favorevole alle vendite dei gioielli di stato.


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Inizialmente, per esempio, era in programma anche la privatizzazione di un pezzo di Eni, ancora partecipata dal Tesoro al 30% (per lo più tramite la Cassa Depositi e Prestiti). Il premier Renzi ha però già fatto sapere che, con il prezzo del greggio così basso, la cessione delle quote del gruppo petrolifero è assai poco conveniente in questo momento. Stesso discorso per Saipem, principale controllata di Eni e altra candidata alla privatizzazione. Sono invece già state completate nel 2014 le quotazioni in borsa di Fincantieri, che ha fruttato circa 350 milioni e la cessione parziale di Cdp Reti, la holding di stato che controlla quote di Snam e Terna, il cui 35% è finito in mano ai cinesi di Shangai Electric Corporation , per un valore 2,1 miliardi.



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Archiviate queste operazioni, dunque, è probabile che nel 2015 la vendita dei gioielli di stato si concentri su ben altri fronti. Primo fra tutti quello di Poste Italiane, di cui dovrebbe finire sul mercato una quota di circa il 40% del capitale, portando nelle casse dello stato un tesoretto da almeno 5 miliardi di euro. Dopo la presentazione del piano industriale ideato dal nuovo ad del gruppo, Francesco Caio, lo sbarco in borsa di Poste dovrebbe essere questione di mesi, come ha confermato anche il ministro dell'economia, Pier Carlo Padoan.


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Sembra invece destinata a slittare ai primi del 2016 la privatizzazione di un pezzo delle Ferrovie dello Stato, che, secondo alcune stime vale 3 miliardi di euro. Per questa operazione, sono già stati selezionati i consulenti legali e finanziari (Bank of America Merrill Lynch e lo Studio Cleary Gottlieb Steen & Hamilton). Dopo Fs e Poste, da vendere c'è ancora il 49% di Enav, la società che gestisce il servizio di controllo del traffico aereo. Poi resta anche una fetta del gruppo tecnologico StMicroelectronics, dove il Tesoro ha una quota paritetica del 50% con lo stato francese, nella holding che controlla il 27% della società. Tuttavia, da questa dismissione non dovrebbero arrivare grandi cifre: non più di 600-700 milioni di euro, secondo alcune stime elaborate a fine 2014. Per verificarlo, però, bisognerà attendere un po di mesi', visto che la privatizzazione di Stm non è in agenda nel breve periodo.

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