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Egitto e le bombe sulla costituzione

Sono passati molti anni dall’ultimo attentato con un’autobomba al Cairo, ma oggi nella capitale egiziana sembrava di essere a Kabul o Baghdad. Tre esplosioni in rapida sequenza hanno colpito due stazioni di polizia e la zona adiacente ad una fermata della metropolitana. Il bilancio provvisorio è di almeno 6 morti, ma potrebbe aumentare nelle prossime ore. Gli attentati sono stati rivendicato dal gruppo jihadista Ansar Beyt el-Makdes.

È un attacco grave perché dimostra la capacità del terrorismo di colpire le zone più vicine ai Ministeri. Si tratta inoltre di un segnale di debolezza delle forze di sicurezza, che potrebbe spingere all’approvazione di misure di emergenza nei prossimi giorni e convincere molti egiziani a chiedere la candidatura del generale Al Sisi. Il nuovo uomo forte del Cairo è pronto a recitare il ruolo del salvatore della patria e potrebbe ufficializzare a breve la sua decisione di partecipare alle elezioni.

Una scelta che qualcuno sostiene con entusiasmo, anche perché i militari controllano tra il 15 e il 40% dell’economia e possiedono molte aziende. Si tratta di investimenti molto diversificati e spesso non sono legati alla sicurezza nazionale, visto che includono anche la produzione di acqua e pasta e la costruzione di case per privati.

Un potere economico che ha permesso alle forze armate di essere i veri vincitori del periodo post-rivoluzionario. Prima sono scesi in piazza con il popolo per chiedere la fine della dittatura di Mubarak. Poi hanno lasciato il potere politico ai Fratelli Musulmani, mantenendo però i loro privilegi. Infine sono tornati a schierarsi con i manifestanti che chiedevano le dimissioni di Morsi.

I liberali sono consapevoli che affidarsi ai militari significa anche rinunciare ad alcune rivendicazioni della rivoluzione. Tuttavia sanno che la protesta ha ormai perso la sua capacità di mobilitare gli egiziani e che ogni manifestazione è considerata dalla maggioranza come un pericolo alla stabilità. Per questo motivo molti di loro sostengono Al Sisi e cercano di convincersi che i militari siano cambiati in questi tre anni.

Dopo le proteste del 2011 contro Mubarak e quelle contro i militari del 2012, i liberali sono diventati il gruppo più debole della società egiziana, anche perché hanno ormai perso la capacità di dettare l’agenda del cambiamento. Il motivo è che questo gruppo si è dimostrato incapace di ottenere larghi consensi tra il popolo, troppo distante dai loro complicati discorsi sulla divisione dei poteri o i diritti personali.

Ci sono poi milioni di sostenitori dei Fratelli Musulmani che non hanno più alcuna rappresentanza politica. La nuova Carta Costituzionale, approvata con quasi il 98% dei consensi (l’affluenza è stata del 36,2%) vieta di “formare partiti politici sulla base della religione”, precisando che la partecipazione politica “è proibita a ogni movimento che ha delle pratiche contrarie alla democrazia o che possiede una natura militare o para-militare” (articolo 74).

Questa norma impedisce ai Fratelli Musulmani di presentarsi alle elezioni, ma potrebbe paradossalmente risparmiare i partiti politici salafiti che, pur essendo gruppi legati ad un’ideologia islamista molto conservatrice, hanno partecipato alla stesura della Costituzione.

I Fratelli Musulmani hanno perso diversi consensi tra gli egiziani, come testimoniano le elezioni nelle categorie professionali negli ultimi mesi. Durante il periodo della presidenza di Morsi hanno dato l’impressione di essere interessati soltanto a conservare il loro potere e, dopo la deposizione del loro Presidente, non sono riusciti a mutare la loro proposta politica.

Negli ultimi mesi sono stati arrestati diversi membri dei Fratelli Musulmani, comprese alcune ragazze minorenni. Il segno del “quattro” con la mano è diventato un gesto sovversivo, al punto che un arbitro ha preferito alzare due dita per ciascuna mano per segnare i minuti di recupero ed evitare problemi con i militari. La ragione del “divieto” è che in arabo la parola “quarto” coincide con il nome di piazza “Rabi’a”, dove decine di sostenitori di Morsi sono stati morti durante l’intervento delle forze dell’ordine per sgomberare la loro manifestazione.

L’Egitto è un Paese diviso, dove la scontro politico ha spaccato la società in almeno tre blocchi, che non hanno più nessuna voglia di collaborare. L’economia fatica a riprendersi e tanti egiziani sono tornati a disinteressarsi di politica e a pensare ad un modo per andarsene. Non sarà perciò difficile per Al Sisi convincere un Paese sfiduciato di essere la persona giusta per risolvere i loro problemi e ottenere dagli egiziani un sostegno rassegnato, motivato dalla paura che non esista una soluzione politica alla violenza jihadista.

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