Dov’è finita Confindustria?

Giorgio Squinzi, presidente Confidustria (ALESSANDRO PARIS / Imagoeconomica)

Che fine ha fatto Confindustria? Scomparsa. Vaporizzata. Non una parola sull’inesistente Job Act. Nemmeno una sillaba sulle possibili dimissioni di Carlo Cottarelli da commissario alla spending review. Ci si poteva attendere un comunicatino stampa sulle riforme istituzionali, magari per sapere se gli imprenditori italiani apprezzano il monocameralismo o se sono per l’elezione diretta dei senatori. Invece no. Niente di niente. Un’assenza preoccupante.

Un silenzio assordante che francamente, non so spiegare. Non mi risulta nemmeno che l’associazione degli imprenditori sia intervenuta su una questione che la riguarda molto direttamente, cioè la possibilità che il registro delle imprese passi dalle Camere di Commercio al ministero dello Sviluppo. Non ha fiatato quando il governo ha messo in soffitta l’ipotesi di accorpare Pra, Motorizzazione e Aci, una di quelle semplificazione burocratiche che, teoricamente, dovrebbero stare a cuore alla Confindustria. Non ha detto una parola su nessuna delle questioni più importanti all’ordine del giorno del dibattito politico così come non ha proferito verbo sull’annuncio (l’ennesimo) che, tornati dalle vacanze, ci sarebbero una quantità indefinita, di fondi europei per lo sviluppo pronti per essere investiti.

Non una parola sul (mancato) taglio delle tasse se si esclude il 10% di Irap che equivale allo 0,4% della pressione tributaria che grava sulle imprese. Non ha reagito quando è stato dato al supercommissario anti corruzione, Raffaele Cantone, il potere di commissariare un’impresa al solo invio di un avviso di garanzia da parte dell’autorità giudiziaria. Non una parola sul caso Mose, sul caso Expo e, soprattutto, non una parola sulla crescita dell’aumento pubblico, dovuto a una crescita incontrollabile della spesa pubblica corrente che solo a maggio è aumentata di 20 miliardi.

A luglio il Centro Studi della Confindustria ha detto che il Pil nel 2014 avrà una “crescita piatta” rispetto allo 0,8% ipotizzato dal governo nel (defunto) Def e allo 0,3% ipotizzato ottimisticamente dal Fondo Monetario Internazionale, ma all’allarme è seguito un silenzio tombale: non un’indicazione per il governo, non un appello alla riduzione delle tasse. Niente. E, soprattutto: vuoto pneumatico sul rallentamento del ritmo di rimborso dei debiti che lo Stato ha accumulato nei confronti delle imprese le quali, se vogliono farsi pagare le loro fatture, devono andare in banca, farsele “scontare” lasciando una tangentina (chiamata “costi di istruttoria”) che può arrivare fino all’1,9%. Anche su questo: calma piatta.

Non sapendo cosa pensare, mi rimetto alle opinioni dei lettori di questo blog. Ma resto con una domanda inevasa: ma agli imprenditori italiani, una Confindustria che in un momento come questo, durante il quale si vocifera perfino di un commissariamento da parte della Troika, nel momento in cui a settembre è data per scontata la necessità di una manovra di aggiustamento… ecco, agli industriali italiani, una Confindustria così, serve?

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