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Tutti i flop e le primule mai fiorite di Arcuri. Arcuri chi?

Tutti i flop e le primule mai fiorite di Arcuri. Arcuri chi?

L’ex super commissario all’emergenza Domenico Arcuri oggi è un fantasma dai contorni indefiniti, sinonimo di disorganizzazione e sprechi. L’ultimo schiaffo? La Corte dei Conti ha appena stoppato il finanziamento da 50 milioni per il vaccino italiano Reithera, quello che secondo Arcuri sarebbe stato il fiore all’occhiello europeo.


Se provi a fare il nome dell’ex super commissario all’emergenza Domenico Arcuri, i partiti che l’avevano nominato cadono come preda di amnesia. Quello che per Giuseppe Conte, Pd e Cinque Stelle era il paladino dell’efficienza, oggi è un fantasma dai contorni indefiniti. Ieri era come un fratello; oggi quando lo incontrano cambiano marciapiede. Se gli parli oggi di Arcuri, quelli al massimo pensano a Manuela.

Ma i fantasmi ricompaiono. Non foss’altro perché ci hanno fatto perdere una montagna di tempo e di denaro. A rievocare lo spettro di Arcuri ci ha pensato da ultimo la Corte dei Conti, che ha appena stoppato il finanziamento da 50 milioni di fondi pubblici per il vaccino italiano Reithera, quello che secondo l’ex commissario sarebbe stato il fiore all’occhiello europeo. “Investimenti insufficienti”, dicono le toghe. E Arcuri sarà chiamato a spiegare l’ennesimo pasticcio.

Anche se il marchio d’infamia per eccellenza, la Caporetto di tutti gli sprechi, quello che oggi qualcuno cerca di mettere sotto il tappeto, restano le indispensabili “Primule” di Arcuri. Quelle che dovevano far “rinascere” l’Italia, quelle disegnate dall’archistar Boeri, quelle che “ci faranno vedere la luce in fondo al tunnel”. Ma la luce era quella di un treno in corsa.

Come sia stato possibile, in un paese industriale sviluppato come il nostro, intavolare un piano organizzativo così strampalato, sarà oggetto di studio degli storici, oltre che dei magistrati. Pensare di costruire in pochi giorni 3 mila padiglioni del costo di 400 mila euro l’uno, è stata una follia unica al mondo.

E i segnali della pazzia organizzativa c’erano tutti fin dal principio: quando Invitalia pubblicò il bando, il 20 gennaio, concedeva alle aziende interessate 7 giorni di tempo per progettare le strutture, e un mese per tirarle su. I costi? “Da quantificare”. Il numero totale delle primule? Annusata l’aria di fallimento, Arcuri scese da 1500 a 300, poi si concentrò sulle prime 21, una per regione, con un costo stimato intorno agli 8 milioni di euro. Alla fine non una primula è spuntata su suolo italiano.

E mentre noi sprecavamo energie e soldi intorno ai sogni botanici di Arcuri, il mondo vaccinava ovunque: negli aeroporti, nelle stazioni, negli stadi, negli ippodromi, nei parchi divertimenti, nei sambodromi in Brasile, sui vaporetti lacustri in Svizzera. In Italia? Noi incaricavamo Giuseppe Tornatore di realizzare uno spot pubblicitario strappalacrime sul vaccino: ma senza avere il vaccino. Tutta fuffa a favore di telecamera, in ossequio alla filosofia casaliniana dell’epoca.

E questa disfatta si è consumata tra le barricate delle regioni e dei partiti, sommersa quindi dall’indignazione degli italiani. Un’indignazione testimoniata da un numero: 50 euro. Cioè la cifra arrivata sul conto corrente aperto da Arcuri per la raccolta fondi “Adotta una primula”. 50 euro in tutto. E’ il prezzo assegnato dagli italiani all’efficienza di Domenico Arcuri: più o meno una pizza per due al ristorante.

Ebbene, oggi che le somministrazioni coordinate dal generale Figliuolo procedono spedite, ognuno dovrebbe tenere accesa la memoria storica: uscire di casa, andare dal fioraio, comprarsi una primula ed esporla sul davanzale di casa: un memento floreale, a perenne ricordo della disfatta contiana. Per non dimenticare.

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