Imu-Bankitalia, tutti i perché dell'opposizione grillina

La clamorosa iniziativa di occupare i banchi del governo, con cui ieri i deputati del Movimento 5 Stelle hanno cercato fisicamente di opporsi all’approvazione del decreto Imu-Bankitalia, ha registrato toni probabilmente inaccettabili in un consesso democratico dove si approvano leggi con maggioranze politiche, e non con le proteste. Dietro però alle manifestazioni decisamente censurabili degli onorevoli grillini, che hanno assunto alla fine le sembianze di una pura lotta di carattere politico, si annidano invece una serie di motivazioni economiche, che hanno portato il movimento guidato da Beppe Grillo a contestare per settimane nel merito un provvedimento ritenuto iniquo.

DECRETO IMU-BANKITALIA, ECCO COSA PREVEDE

E ci riferiamo ovviamente a quanto previsto dal decreto per Bankitalia e non certo all’annullamento della seconda rata dell’Imu, misura che i deputati grillini condividevano e che avevano chiesto perciò di stralciare per poterla approvare in sede separata. Il vero nodo dunque risiedeva nella cosiddetta rivalutazione delle quote di Bankitalia e nella più generale riorganizzazione della governance di Palazzo Koch voluta dal governo. Vediamo allora nel merito quali sono i pericoli che il M5S ha denunciato, lottando come detto fino alla fine per evitare l’approvazione del provvedimento.

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Innanzitutto il governo avrebbe utilizzato impropriamente 7,5 miliardi di riserve della Banca centrale, soldi ritenuti di tutti i cittadini perché costituiti da utili realizzati con le attività in regime di monopolio, regalandoli, secondo il M5S, alle banche e alle assicurazioni private. Il pretesto sarebbe stata appunto la rivalutazione, definita del tutto arbitraria da parte dei grillini e perciò contestata, delle quote di Bankitalia, ferme ai 156mila euro di valore del 1936. Di solito, hanno sostenuti i cinque stelle, dovrebbero essere i soci a sborsare danaro per ricapitalizzare la propria azienda, mentre in questo caso il meccanismo funzionerà a loro dire al contrario, come una sorta di scalata a debito.

Inoltre, alle banche, secondo quanto previsto dal decreto, sarà garantito un dividendo del 6%, una remunerazione che il M5S definisce senza eguali sul mercato per quanto riguarda asset risk-free. Conti alla mano, secondo i grillini, le banche intascheranno per questa via ben  450 milioni di euro sui profitti della Banca d'Italia. Allo Stato invece, sempre secondo i cinque stelle, andranno gli spiccioli, visto che una tassazione delle quote al 12% dovrebbe garantire all'erario appena qualche centinaio di milioni, in netto contrasto con le previsioni del governo che ha stimato il gettito in questione in 900 milioni.

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Infine, e questo è certamente uno dei punti più controversi della riorganizzazione di Banca d’Italia, nessuno potrà detenere più del 3% delle quote, mentre oggi ci sono gruppi bancari che hanno molte più azioni: basti pensare che solo Intesa e Unicredit assieme detengono oltre il 50%. In questo nuovo scenario dunque, i grillini prevedono che molte azioni torneranno in ballottaggio, e potrebbero finire a soggetti controllati da banche straniere. Il rischio paventato dal M5S è dunque quello di assestare un duro colpo alla nostra sovranità economica. Queste le ragioni dei cinque stelle che ieri sono state superate da un voto di fiducia che però certamente si porterà dietro ancora molti strascichi polemici.

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