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ANSA/ ETTORE FERRARI
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Così Minniti ha archiviato Alfano

"Prima o poi anche noi un prezzo lo dovremo pagare". Ci son volute le parole del prefetto Franco Gabrielli perché venisse squarciato l'ennesimo velo di vuoto ottimismo retorico (dopo quello sulla ripresa e sull'occupazione che non ci sono) ereditato dal governo Renzi.

È una riflessione, quella del capo della Polizia di Stato - con una lunga esperienza ai Servizi - che ha sorpreso quanti avevano ancora in mente le dichiarazioni fatte da Paolo Gentiloni, durante la presentazione del rapporto della "Commissione indipendente sulla radicalizzazione e il jiahdismo in Italia". Il premier aveva enfatizzato gli aspetti rassicuranti contenuti nel documento e riconosciuto l'eccellente lavoro svolto dagli apparati di sicurezza.

Eppure, a leggere con attenzione il documento, era possibile riscontrare la denuncia dell'"inadeguatezza di un'azione di contrasto della radicalizzazione basata esclusivamente sulla repressione" e del rischio che "una miriade di elementi endogeni ed esogeni" potessero far tragicamentee rapidamente colmare il gap con gli altri Paesi in quanto a sviluppo della "scena jihadista autoctona".

Proprio tra la conclusione dei lavori della Commissione e l'intervista di Gabrielli, uno di questa "miriade di elementi", curiosamente a cavallo tra quelli endogeni e quelli esogeni, si era puntualmente manifestato: l'eliminazione, da parte di una pattuglia della Polizia di Stato in servizio a Sesto San Giovanni del tunisino Amri, l'autore dell'attentato di Berlino.

La possibilità che l'Isis, o qualcuno tra i suoi suoi affiliati e i suoi emuli, decidesse di "punire l'Italia" per vendicarne la morte è probabilmente una delle variabili non esplicitate nel ragionamento del prefetto. Il quale, tra l'altro, aveva di fatto smentito il luogo comune che il nostro Paese, in quanto retrovia logistico e porta di ingresso in Europa di potenziali attentatori, godesse di una sorta di "salvacondotto" da parte dell'organizzazione di Al Baghdadi.

Proprio nel corso della medesima conferenza stampa del premier, il neo ministro degli Interni Marco Minniti aveva annunciato la volontà del governo di aprire 18 Centri di identificazione ed espulsione a livello regionale. Dopo gli anni del soporifero e inconcludente "negazionismo" alfaniano, in pochi giorni Minniti ha già dato la sensazione di essere "qualcuno che dice quello che pensa e fa quello che dice", oltre a pensare a quello che dice, aggiungeremmo noi.

Uno stile ben diverso da quello del precedente inquilino del Viminale, che era probabilmente ispirato all'indimenticabile battuta di Igor in Frankestein Junior: "Gobba? Quale gobba?". Il nuovo responsabile degli Interni ha ben chiaro che Amri era arrivato con un barcone dalla Tunisia e che, scontata una condanna a cinque anni per reati violenti, era stato colpito da un provvedimento di espulsione mai eseguito.

Come si sa, l'Europa ha sempre criticato il nostro Paese per "la politica dello struzzo" rispetto all'identificazione e all'espulsione dei migranti irregolari. E non a caso dalle autorità europee è subito arrivato un sostegno a Minniti, ben più forte e tempestivo di quello di esponenti di spicco del suo partito come Deborah Serracchiani. Il progetto presentato da Minniti mira proprio a colmare quel vuoto, nella consapevolezza che, se è vero che le espulsioni si sono dimostrate efficaci nei confronti di soggetti pericolosi, la loro veloce ed effettiva attuazione verso gli irregolari la cui domanda di asilo è stata respinta può garantire a chi ne ha invece diritto di essere accolto e integrato, così evitando quelle tensioni sociali che alimentano razzismo e discriminazione e favoriscono la radicalizzazione.

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