Cosa leggono i veri erotomani: i rossori e le ciliegie nella reticenza dei grandi romanzi dell’800

Ognuno ha le sue frasi-guida nella vita, quelle che facciamo girare a lavaggio delicato nel cervello in attesa di usarle qualora qualcuno ci chiedesse «qual è la tua frase-guida nella vita?».

Io ce ne ho tre quattro: una è quella che la disumanità ha ancora un grande avvenire davanti a sé, un’altra è una frase di Giorgio Manganelli che dice

«I veri erotomani vanno a vedere le icone bulgare, e i dementi del sesso contemplano le fotografie di Tolstoj nella sua casa di campagna».

Io sono una vera erotomane, nel senso in cui l’intende Manganelli. Cioè una demente del sesso. Il livello del mio cerebralismo in amore raggiunge picchi di parossismo. Più che di cerebralismo si tratta forse dierotizzazione della cultura, che in ogni caso è sempre meglio della culturalizzazione dell’erotismo, (roba da impotenti, benché io non abbia nulla contro l’impotenza in sé ma solo contro l’impotenza in me eccetera eccetera). Per capirci: il mio erotismo è stimolato dalla lettura, dall’intelligenza delle parole e delle situazioni che concorrono a creare strutture narrative sorrette da una tensione abusiva; e non il contrario, cioè: non trovo interessante l’operazione di nobilitare il corpo attraverso la sua versione, o traduzione, in qualcosa di intellettuale o di culturale. Cioè non è che se guardo il corpo di (fatemi pensare a uno veramente sexy) Tim Roth, mi metto lì a pensare: con un uomo così, sarebbe molto bello parlare a lungo del carattere di Alexis Kirillovich Vronsky. Mentre lo scrivo mi rendo conto che potrei anche pensarlo, però insomma non sarebbe tra le prime cose.

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