Cosa compra la Cina

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Dal punto di vista cronologico l'ultimo acquisto di Pechino riguarda la possibilità di ricevere, a partire dal 2018, 38 miliardi di metri cubi di metano all'anno dalla vicina Russia. Un accordo di portata storica che vale almeno 400 miliardi di dollari, e che è destinato a cambiare per sempre gli equilibri energetici, se non addirittura geostrategici, del pianeta. Rendendo gli emergenti d'Oriente sempre meno dipendenti dal mondo sviluppato occidentale.


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Appena un paio di settimane fa la Cina ha quasi concluso il secondo affare del secolo, quando la Norvegia ha messo in vendita i 216 chilometri quadrati dell'arcipelago Svalbard. Anche se il primo a manifestare il proprio interesse per queste isole è stato un tycoon cinese apparentemente intenzionato a costruirvi un resort, è evidente che l'obiettivo del governo è quello di mettere un piede in un bacino ricchissimo di risorse naturali. Una minaccia, questa, che ha costretto la Norvegia a fare un passo indietro e a riconsiderare la vendita delle Svalbard.


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A marzo, con un investimento di più di 2 miliardi di euro, la Banca centrale cinese è entrata nell'azionariato dei due colossi energetici italiani, Eni e Enel, trasformandosi nel primo azionista delle due aziende dopo lo Stato italiano. Pechino ha sborsato 800 milioni di euro per impossessarsi del 2,071% del capitale di Enel e 1,3 miliardi per ottenere il 2,102% di Eni.


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In generale, questa è solo la quarta ondata di acquisti di portata internazionale sostenuta dal Partito per garantire alla nazione un futuro di crescita, sviluppo e benessere diffuso. Dietro tutte queste ondate c'è naturalmente China Investment Corporation, il colosso orientale che manovra (quasi) tutti gli acquisti del Paese in giro per il mondo.   


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Il boom di acquisizioni nel comparto energetico sta procedendo di pari passo con la terza ondata di acquisti, quelli orientati a consolidare la posizione cinese nel settore dell'agro-alimentare. I tre milioni di ettari di terra in Ucraina comprati nel 2013 sono solo uno dei tanti esempi di terreni stranieri in cui la Cina ha iniziato a delocalizzare le proprie produzioni agricole per approfittare dei tassi di inquinamento ridotti che contraddistinguono la maggior parte dei territori lontani dai suoi confini. Dal punto di vista cinese, la regione più ambita per l'agro-alimentare è l’America Latina. 


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Prima che l'inquinamento rendesse necessario concentrarsi su terreni coltivabili e risorse energetiche, la Cina comprava all'estero soprattutto immobili e tecnologie. I primi servivano, e servono ancora, perché questa tendenza non si è certo arrestata, a capitalizzare la liquidità presente nel paese e ad accumulare beni che si rivalutano velocemente nel tempo. Oppure a mettere le mani su infrastrutture strategiche e funzionali all'espansone del commercio cinese su scala internazionale. Le seconde a favorire l'upgrade tecnologico del settore secondario e terziario dell'economia cinese.


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La prima grande ondata di investimenti cinesi si è concentrata essenzialmente sull'acquisizione di brand stranieri, con l'obiettivo di introdurre in patria tutte quelle conoscenze e tecnologie che molti paesi sembravano non più interessati a condividere con la Cina. Volvo, Peugeot-Citroëne e BlackBarry sono solo alcuni dei nomi su cui Pechino ha messo gli occhi. Ma l'elenco delle partecipazioni, oltre ad essere lunghissimo ed estremamente diversificato, contiene aziende grandi e piccole, di ogni nazionalità e attive in ogni settore possibile. A dimostrazione che l'ambizione della Cina ha segnato il suo sviluppo sin dall'inizio, e non è solo la conseguenza dei successi accumulati negli anni.


La corsa alle acquisizioni di Pechino è caratterizzata da quattro ondate successive: industriale, immobiliare e tecnologica, agro-alimentare ed energetica. A posteriori, è evidente che l'ambizione della Cina ha segnato la sua strategia di sviluppo sin dall'inizio, e non è solo la conseguenza dei successi accumulati negli anni.

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