Cinquanta sbavature di nero, è parodia - La recensione
Da Cinquanta sfumature di grigio a Cinquanta sbavature di nero. Firmato: Mike(Michael) Tiddes, regista e produttore americano specialista in spoof film, le satire imitative di genere che hanno una loro nobile storia, da Scary Movie alle serie di Austin Powers, da Dracula morto e contento a Mars Attacks e via così, in una serie lunghissima di titoli che deborda anche sulle propaggini italiane guidate da Totò e da Franco & Ciccio.
Ridicole perversioni
Questo per dire che la parodia assume i connotati di genere vero e proprio, passando attraverso i generi di riferimento. Spesso con impronta d’autore. Di Tiddes, in particolare, si ricordano al cinema Ghost Movie uno e due, mentre le biografie aggiungono al suo curriculum una discreta attività televisiva. Certo, non è Mel Brooks, ma forse ha lo spirito giusto per visitare a modo suo i sobborghi delle torride perversioni cantate da E. L. James e, non me ne abbiano i fans della scrittrice, già di per sé abbastanza ridicole.
Così il “nero” del titolo si riferisce al presunto sadofustigatore Christian Black (Marlon Wayans), diventato miliardario rubando macchine di lusso, rapinando negozi, strappando borse alle vecchiette e spacciando cocaina. Sembrerebbe un mostro spietato e invece sotto la maschera è un po’ grullo e sempliciotto, oltre a tutto né abile, né durevole, né equipaggiato nelle pratiche di sesso. Insomma è soltanto ricco e di bell’aspetto, circondato da una immeritata fama di tombeur de femmes.
Rapporto goffo e grottesco
Facile per la giovine, inesperta e sprovveduta Hannah Steele (Kali Hawk) cadere nelle rete del miliardario che va ad intervistare per una rivista universitaria al posto della sua amica Kateesha (Jenny Zigrino), che al suo contrario ha una sfrenata disponibilità per gli uomini. Di qui incomincia la relazione tra Black e Hannah, che, sulle linee del film, anziché torbida diventa goffa e grottesca, trascinando con sé altri strambi personaggi come Eli (Affion Crockett) fratello superdotato di Black e la loro madre adottiva Claire (Jane Seymour) la quale, avendo appunto adottato due ragazzi neri, non può che essere ferocemente razzista.
Tracce di dialogo brillante, battute in climi molto americani (ma ben comprensibili perché chiamano in causa, risparmiando nessuno, fatti e persone universalmente noti), satira accesa, citazioni cinematografiche in chiave comica: qualche risata, con questi elementi, la storia riesce a strapparla.
In piena trance demenziale
Come si può immaginare, peraltro – in linea col parodismo di genere – il sesso è visivamente lontano anni luce, a parte la mise en scène di una sua buffa pantomima; e la trasgressività che almeno giustifichi l’intera intrapresa è tutta affidata ad un linguaggio delirante e sboccato, in piena trance demenziale sulla grande giostra del pastiche. Iperbolico, grottesco e caricaturale, il racconto si muove un po’ a caso, alla ricerca dell’effetto superficiale, senza lasciare gran traccia, cosa che, peraltro, non si oserebbe pretendere.
Ci si accontenta, piuttosto, della grana grossa sparsa in ogni angolo di film, del continuo sfottersi razzisticamente tra neri, del sarcasmo rovesciato a piene mani su un romanzo vagamente sopravvalutato e sul pallido film che ne è seguito. Rispetto al quale, è certo, questo piccolo rocambolesco artifizio reclama un pur illogico senso.
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