Cina, Wen Jiabao e le riforme che salveranno l'economia

Nel suo intervento in occasione del sesto incontro annuale del World Economic Forum, il premier cinese Wen Jiabao ha rassicurato il mondo, e in particolare i cinesi, che "l'economia della Repubblia popolare si manterrà in buona salute per tutto il 2012", e il tasso di crescita non scenderà sotto il 7,5%. Pur ammettendo che problemi su più fronti potrebbero innescare dei rallentamenti, Wen Jiabao ha ribadito che "grazie agli sforzi del partito orientati al miglioramento del modello di crescita e alla promozione di riforme e aperture, saremo in grado di tutelare lo stato dell'economia". Anche perché, ha aggiunto il premier, "una crescita rallentata ma stabile è molto più sana di una velocissima che rischia di subire contraccolpi gravissimi". Sottolineando che in una fase in cui gravi problemi sociali restano ancora irrisolti, e tra questi il più grave resta l'enorme differenza nelle condizioni di vita tra aree urbane e rurali, c'è bisogno di ordine e pazienza (oltre che di almeno altri dieci anni) per uniformare lo sviluppo dell'intera Cina.

Una dichiarazione, questa, che, se estrapolata dal contesto della Repubblica popolare di oggi, farebbe quasi pensare che nulla sia cambiato dal 2010. E che, di conseguenza, crescita e sviluppo procedano a gonfie vele e la linea riformista "alla cinese" adottata dalla classe dirigente attuale verrà confermata anche da chi, a gennaio 2013, sarà chiamato a sostituirla. E invece la situazione è molto più ingarbugliata di quanto possa sembrare...

Cerchiamo di spiegarla in maniera chiara. Anzitutto i dati economici: gli ultimi parlano di un aumento delle esportazioni del 2,7% e addirittura di un calo delle importazioni del 2,6%, valore che per molti analisti è sintomo di una forte contrazione dei consumi interni. La crescita dell'output industriale è rimasta sotto il 10% nonostante i tassi di interesse siano già stati tagliati due volte per stimolare consumi e investimenti.

Pechino continua anche ad appovare "piani di sviluppo" miliardari, ma non vuole più chiamarli "pacchetti di stimoli all'economia", probabilmente per evitare di far capire ai cinesi quanto il paese sia effettivamente in difficoltà. L'ultimo è di pochi giorni fa. E vale mille miliardi di yuan. Pari a circa 124 miliardi di euro. Infine, lo steso Wen Jiabao ha ammesso, con toni meno trionfalistici, che (per la prima volta) sarà necessario attingere anche al surplus fiscale per finanziare, questa volta con cento miliardi di yuan, "altre iniziative economiche". Se le cose andassero veramente così bene non ci sarebbe bisogno di immettere una tale quantità di capitali sui mercati...

Altra sorpresa nelle dichiarazioni rilasciate al World Economic Forum è certamente l'accenno alle riforme. In una fase in cui sappiamo che i burocrati di Pechino sono profondamente divisi tra conservatori e riformisti "alla cinese", e in un momento in cui anche il Presidente designato Xi Jinping, seppur (momentaneamente) scomparso, parla di riforme, le parole di Wen Jiabao porterebbero a immaginare che il compromesso sia stato finalmente raggiunto. Con l'ennesimo colpo di scena visto che fino a un paio di giorni fa la stampa cinese (che non parla senza aver prima ottenuto l'autorizzazione del partito) aveva innescato una polemica volta a individuare nei leader ancora in carica gli unici responsabili dell'attuale dissesto economico. Interpretata come un utile appiglio per mettere in minoranza i riformisti nel prossimo Congresso. Le cui conseguenze, oggi è più evidente che mai, sono sempre più difficili da anticipare.

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