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Nel confronto tra Cina e Giappone sulle Diaoyu-Senkaku si intromette anche Taiwan

Se i rappresentanti di Cina e Giappone si sono (finalmente) decisi a fare qualcosa per contenere l'ondata di proteste e violenze innescata dalla decisione del Primo Ministro nipponico Yoshihiko Noda di acquistare l'arcipelago conteso delle Senkaku (Diaoyu per i cinesi), i taiwanesi hanno scelto di intervenire nella disputa per stroncare sul nascere queste iniziative di distensione. Spostando una sessantina di imbarcazioni nei pressi delle isole contese, violando la (presunta) sovranità territoriale giapponese, e costringendo le navi della guardia costiera nipponica ad "attaccarle" con degli idranti. Provocazione a cui i taiwanesi hanno preferito non rispondere, allontanandosi dall'area nel giro di qualche ora.

Intuire le ragioni che hanno spinto Taipei a intervenire è molto facile: sentendosi, come Pechino, l'unica legittima rappresentante della "vera" Cina, anche Taiwan rivendica la sovranità di queste rocce disabitate ma dai fondali ricchissimi di risorse ittiche ed energetiche. Più difficile capire come mai Taipei abbia deciso di schierarsi oggi contro il ripristino dello status quo ante. Che senza favorire nessuno in particolare assecondava l'interesse di tutti i contendenti a evitare umilianti prevaricazioni.

E' possibile che Taipei abbia organizzato quest'azione dimostrativa per "evitare di essere dimenticata" da chi, negli ultimi giorni, potrebbe essersi convinto che le Diaoyu-Senkaku interessino solo a Tokyo e Pechino. E forse anche un po' preoccupata dal fatto che una delegazione giapponese sia volata a Pechino per definire a porte chiuse come gestire le risorse dell'arcipelago. Nel terrore di ritrovarsi imbrigliata in uno status quo di fatto meno favorevole di prima.

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