Boris Johnson (Ansa)
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Brexit: le nuove regole su immigrazione e lavoro

Stretta sull'immigrazione in Regno Unito. Il governo conservatore di Boris Johnson ha presentato un sistema a punti che, dal 2021, penalizzerà gli immigrati scarsamente qualificati. Si tratta, come è ovvio, di una conseguenza della Brexit. Con il divorzio da Bruxelles, Londra è rientrata infatti in possesso della facoltà di dirigere in piena autonomia le proprie politiche migratorie. E il nuovo sistema è per l'appunto finalizzato ad incrementare pressoché esclusivamente l'arrivo di lavoratori altamente qualificati. Nel dettaglio, per presentare domanda di ammissione nel Regno Unito, un cittadino straniero dovrà assicurarsi settanta punti. In tal senso, avrà bisogno di un'offerta di lavoro (venti punti), dovrà candidarsi per una professione qualificata (venti punti), dimostrare di saper parlare inglese (dieci punti) e godere (nella maggior parte dei casi) di uno stipendio di almeno 25.600 sterline (venti punti). Un punteggio extra sarà inoltre riservato a chi detenga titoli di studio particolari (come dottorati in determinate materie). Tra l'altro, per chi arriva alla frontiera, non saranno più accettate le carte di identità di Paesi, come l'Italia e la Francia: i cittadini europei saranno quindi trattati alla stregua di tutti gli altri. Non sarebbe comunque previsto un limite al numero di lavoratori altamente qualificati da poter accogliere.

In sostanza, l'idea di Downing Street è quella di scoraggiare l'impiego di manodopera straniera a basso costo, oltre che spingere le aziende britanniche a maggiori investimenti e innovazione. Tutto questo, sebbene svariati datori di lavoro lamentino che una simile riforma determinerà una carenza di lavoratori e un aumento dei prezzi per i consumatori (tra i settori più in allarme – riporta Bbc – figurerebbero la ristorazione e l'assistenza infermieristica). Sul piede di guerra sono già le opposizioni, con i laburisti che criticano la stretta e i liberaldemocratici che parlano di "xenofobia". Dello stesso avviso risultano anche i nazionalisti scozzesi. Downing Street non sembra però curarsi troppo di queste preoccupazioni. E Johnson ha la necessità politica (oltre che economica) di fornire risposte concrete e rapide a quella larga quota di elettori che ha votato a favore di Brexit. Non dimentichiamo infatti che, oltre alla difesa della sovranità nazionale, l'obiettivo di avere maggior controllo sui flussi migratori fosse uno dei cavalli di battaglia dei fautori del Leave nel 2016.

È esattamente in questo senso che il governo britannico ha dichiarato in un comunicato: "Per troppo tempo, in quanto distorto dai diritti europei di libera circolazione, il sistema di immigrazione non è riuscito a soddisfare le esigenze del popolo britannico. Non è riuscito a fornire benefici in tutto il Regno Unito e non è stato capace di accogliere i migranti altamente qualificati di tutto il mondo che volevano venire nel Regno Unito e dare un contributo alla nostra economia e società. Il nostro approccio cambierà tutto questo. Stiamo implementando un nuovo sistema che trasformerà il modo in cui tutti i migranti vengono nel Regno Unito per lavorare, studiare, fare visite o unirsi alla loro famiglia. Rivoluzionerà inoltre il funzionamento della frontiera del Regno Unito, rafforzerà la sicurezza e offrirà una migliore esperienza per i clienti che arrivano nel Regno Unito".

Insomma, Johnson sembra intenzionato a tirare dritto per la sua strada. Del resto, che fosse propenso ad introdurre forti limitazioni all'immigrazione non qualificata non è mai stato un mistero. Con questa mossa, il premier britannico tende a mantenere innanzitutto una promessa elettorale fatta nel 2019 ma – più in generale – punta anche a dare un segnale a Bruxelles in vista dei negoziati che inizieranno di fatto nei prossimi giorni. Downing Street non vuole infatti dare l'idea di essere in una posizione di svantaggio. E tenere il punto sulla stretta migratoria può forse avere anche l'obiettivo di esercitare una maggiore pressione sui negoziatori europei. Senza poi trascurare che il favorire un'immigrazione altamente qualificata sia funzionale al progetto johnsoniano della cosiddetta "Singapore sul Tamigi". In tal senso, la strategia del premier britannico con questa stretta è duplice: fornire rassicurazione alle fasce sociali deboli che temono una concorrenza foriera di ribassi salariali e – al contempo – spingere sull'innovazione e l'alta specializzazione nel mondo del lavoro, per attirare talenti e creare ricchezza. Una scommessa ardua. Ma su cui Downing Street sta puntando tutto.

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