Brexit: David Cameron, il premier che ha ucciso l’Europa

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Il primo ministro britannico David Cameron con la moglie Samantha annuncia le dimissioni dopo la vittoria della Brexit - 24 giugno 2016
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Il primo ministro britannico David Cameron con la moglie Samantha prima dell'annuncio delle dimissioni - 24 giugno 2016
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Il primo ministro britannico David Cameron con la moglie Samantha dopo l'annuncio delle dimissioni, 24 giugno 2016 ODD
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Il primo ministro britannico David Cameron annuncia le dimissioni dopo la vittoria della Brexit - 24 giugno 2016
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Il grafico dell'andamento Sterlina/dollaro dopo la Brexit - 24 giugno 2016
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La chiusura dell'indice Hang Seng a Hong Kong alla sua chiusura dopo l'esito positivo della Brexit - 24 giugno 2016
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Traders al lavoro nel centro di Londra nel giorno della Brexit - 24 giugno 2016
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La bandiera inglese nella sede della Borsa di Francoforte nel giorno della Brexit
A pedestrian walks in front of a foreign exchange sign in Tokyo on June 24, 2016. Japanese Finance Minister Taro Aso pledged on June 24 that Tokyo was ready to adopt strong measures to address wild volatility on financial markets driven by Brexit fears. / AFP / KAZUHIRO NOGI (Photo credit should read KAZUHIRO NOGI/AFP/Getty Images)

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Un tassista con un manifestino "Vote Leave" a favore del Brexit in occasione del referendum del 23 giugno - 22 giugno 2016
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Una supporter inglese per la permanenza in Europa in occasione del referendum sulla Brexit - 22 giugno 2016
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A Leave supporter poses in Clacton-on-Sea as UK Independence Party (UKIP) leader Nigel Farage visits on June 21, 2016. Britain goes to the polls in two days to vote on whether to remain or leave the EU with the result too close to call. / AFP / JUSTIN TALLIS (Photo credit should read JUSTIN TALLIS/AFP/Getty Images)
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Sostenitori della campagna "Britain Stronger in Europe" - 21 giugno 2016
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Un sostenitore della Brexit a Clacton-on-Sea - 21 giugno 2016
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Sostenitori dell'uscita dalla Ue della Gran Bretagna - 21 giugno 2016
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Trevor Hatcher, supporter della Brexit, davanti alla sua casa di Carshalton nel sud di Londra, 21 giugno 2016
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Una bandiera anti UE su una finestra di una casa di Carshalton, nel sud di Londra - 21 giugno 2016
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Sostenitori contrari alla Brexit con i cartelli con lo slogan "Vota Restare" in Oxford Circus a Londra - 21 giugno 2016
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Sostenitori contrari alla Brexit con i cartelli con lo slogan "Vota Restare" in Oxford Circus a Londra - 21 giugno 2016
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Grace Kiely, 6 anni, sostenitrice baby della campagna del leader laburista Jeremy Corbyn a Manchester - 21 giugno 2016
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Violet, 13 mesi, sostenitrice baby della campagna del leader laburista Jeremy Corbyn a Manchester - 21 giugno 2016
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Un cartello di uno dei sostenitori dell'uscita dalla Ue della Gran Bretagna - 21 giugno 2016
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Sostenitori liberaldemocratici a Carshalton, nel sud di Londra - 21 giugno 2016
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Il leader laburista Jeremy Corbyn, fautore della campagna "Remain" per tenere la Gran Bretagna nella Ue - 21 giugno 2016

Il premier britannicoDavid Cameronsarà ricordato nella storia d'Europa come colui che ha distrutto il sogno di una generazione di europei, quelli che credevano nell'unità di un continente e nella fratellanza di più popoli attraverso un disegno politico appena nato.

E la cosa peggiore è che lo ha fatto non perché ci credeva - era infatti apertamente schierato per il Remain del Regno Unito nell'UE - ma per mero calcolo politico. Durante la campagna elettorale del 2015, infatti, Cameron aveva promesso che se fosse stato rieletto (come è successo) avrebbe indetto una consultazione sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione Europea. Cosa che non era obbligato a fare.

A suo merito va detto che ha mantenuto la parola. Ciò nonostante, il premier - che ha appena annunciato le proprie inevitabili dimissioni - ha giocato con forze più grandi di lui e della stessa Gran Bretagna. E come un apprendista stregone ne è stato sopraffatto, trascinando gli altri ormai 27 paesi membri nell'incubo di una reazione a catena forse inarrestabile.

Le responsabilità

Anche se il risultato del referendum non era vincolante ma consultivo (in teoria, il Parlamento britannico potrebbe anche decidere di non uscire dall'UE), tuttavia il popolo britannico si è espresso e ora il parlamento dovrà seguire il suo volere ratificando la decisione, pena il caos per le strade.

Resta il fatto che l'epicentro di questo terremoto è il numero 10 di Downing Street, la residenza ufficiale del primo ministro inglese, il quale personalizzando un referendum popolare ha consegnato ai cittadini inglesi una pistola in mano. E loro hanno comprensibilmente sparato, vista l'irripetibile opportunità che si sono visti recapitare senza peraltro averne fatto esplicita richiesta.

Il peso degli indecisi

Con il referendum sulla Brexit, Cameron sperava di rafforzare la propria leadership ed evitare le critiche interne ed esterne al suo partito e al suo governo, che si erano acuite specie dopo l'accordo di Bruxelles dello scorso febbraio, quando Londra aveva negoziato un nuovo status speciale della Gran Bretagna all'interno del Club dei 28, dopo quello del 1975.

Ma questo accordo, che nelle intenzioni del premier mirava a tamponare efficacemente il rischio di lasciare l'Europa, non era invece andato giù a una larga parte dei Tories e di numerosi altri oppositori politici. Questo ha probabilmente contribuito a convincere i molti indecisi a cavalcare ancor più l'onda del Leave. Il resto è ormai storia.

Il pericolo dei nazionalismi

Il comportamento azzardato e politicamente cieco di Cameron ha minato forse definitivamente le certezze europee e spalancato le porte alle non poche forze centrifughe in seno all'intera UE: pericolosi nazionalismi e correnti populiste, ora quanto mai galvanizzate dalla vittoria del Leave, da oggi saranno ancor più incoraggiate a sferrare nuovi attacchi all'integrità delle istituzioni europee.

Tutto questo Cameron lo ha fatto senza pensare davvero alle conseguenze che quel gesto - sia pur legittimo e democratico - avrebbe comportato. Lui e il suo partito subiranno per primi le conseguenze di questa scelta febbrile, certo, ma poi questa febbre contagerà anche gli altri paesi, uno dopo l'altro.

L'eredità del passato

Oltre al disastro della Brexit, David Cameron ha anche un'altra colpa. Già, perché con la sua sconfitta ha inconsapevolmente elevato a giganti quei discutibili e francamente sconcertanti personaggi politici che, con i loro partiti estremisti e il loro malpancismo da bar dello sport, caleranno presto sull'Europa per farne scempio.

Vale per il futuro delle istituzioni comunitarie ciò che scrisse il "cicerone britannico" Edmund Burke: "L’età della cavalleria è finita. Quella dei sofisti, degli economisti e dei contabili è giunta; e la gloria dell’Europa giace estinta per sempre".

Le élite culturali del passato, che avevano governato l'Europa per due secoli seguendo il mito illuminista del progresso, ci avevano lasciato in eredità un'impalcatura istituzionale da sviluppare sulla base di principi e ideali che però nessuno all'alba del nuovo millennio ha saputo raccogliere.

I loro grandi propositi non hanno attecchito e così oggi ci ritroviamo ostaggio della mala pianta populista, che non potrà che generare pericolosi innesti xenofobi e autoritari, perché essa si nutre da sempre di bassi istinti e poca razionalità.

David Cameron ha agito in nome del popolo, certo, ma gli inglesi lo avevano scelto perché fosse lui a decidere per loro e non il contrario. Anche perché oggi scopriamo che il popolo europeo sa di essere sempre meno coscienzioso e sempre più propenso al “vaffa...”.

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