​(from Sunrise to Sunshine) Performance
@Mateo Christensen
Costume

A Ferrara le donne parlano per tutta l’umanità

Alla XX edizione della Biennale dedicata al femminile si riaffermano una profondità e una creatività così straordinarie che travalicano gli stessi generi.

Vent’anni di Biennale donna a Ferrara vogliono dire compiuta attenzione e fondamentale verifica di una creatività che vede nella contrapposizione di genere la sua ragione politica, cui la società si è mostrata negli anni sempre più sensibile. Noi decliniamo il mondo plurale al maschile, per una convenzione grammaticale: sorella e fratello sono fratelli; figlia e figlio sono figli; marito e moglie sono coniugi; madre e padre sono genitori, e così via. Ma le parole dell’arte sono tutte femminili, a partire dalla fondamentale: arte. Poesia, creatività, bellezza, estetica, pittura, scultura, architettura, persona; e femminili sono anche poeta, artista. Poi, a interpretarle, nei secoli, abbiamo incrociato solo maschi, come per un diritto genetico. La rimonta è stata lenta, ma inesorabile: prima nella scrittura, con importantissimi esempi; poi, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso, che vuol dire il tempo della mia generazione, la creatività femminile ha raggiunto e superato, come in una coscienza crescente di un diritto elementare, quella maschile, con un avanzamento progressivo e inesorabile, senza conflitto, per riappropriazione. È naturale che la donna crei. Anche la creazione è femminile come la luce, come la notte, come l’ispirazione, come la malinconia, come la nostalgia, come la meditazione, come la fantasia. Ferrara (femmina) nei suoi laboratori di creatività, se ne è accorta, e ne ha fatto farina del suo sacco, con costanza e disciplina, fino ad arrivare a questa felice ricorrenza. Ed ecco la memoria storica che accompagna tale occasione che si è fatta istituzionale e che consacra Ferrara per responsabilità e coscienza civile. Orgogliosa la decisione del comitato organizzatore di ricordare, nel titolo del catalogo, che si tratta della XX edizione. Un compleanno che indica un memorabile traguardo della sua storia.

Il progetto di quest’anno particolare, Yours in Solidarity, è curato da Sofia Gotti e Caterina Iaquinta che hanno connesso alle nuove proposte una serie di rimandi attraverso ricerche nell’archivio di Biennale donna conservato presso la sede dell’Udi - Unione donne italiane - di Ferrara, motore della sua ideazione nel lontano 1984. Un approfondimento in catalogo riguarda la vita cittadina dell’associazione, con documenti, scritti, lettere, fotografie, manifesti, meravigliosi vessilli, tra i più notevoli della stessa attività dell’Udi, a partire dagli anni Cinquanta. Una storia istruttiva, e non solo di conquiste, ma di consapevolezza inevitabile e condivisa, anche a vantaggio dell’«altro mondo». Difficile, per questo, oggi parlare di arte femminile, come di una qualificazione distinta e riconoscibile. Biennale donna è biennale dei diritti della umanità, oltre la creatività di genere, nella forza di invenzione della «persona», che è sintesi di intelligenza, conoscenza, fantasia, passione (tutti sostantivi di genere femminile). Non ci sono «uomo» o «donna». Forse ci sono stati. Ma come non ci sono, nelle più recenti conquiste femminili, nell’architettura e nella musica, edifici «femminili» e interpretazioni di sinfonie o strumenti solisti «femminili».

Zaha Hadid o Marta Argerich ci danno spazi assoluti e Chopin e Beethoven assoluti. Non avrebbe senso declinarli. Questa è la più alta conquista. Il superamento del genere, oltre il riscatto, oltre la rivendicazione. E non è neppure sostituzione. È uguaglianza compiuta, è identità. I pensieri vanno oltre i comportamenti. I pensieri non hanno sesso, e, se ce l’hanno, è per compiutezza, non per differenza. La componente femminile è vitale ed essenziale nell’artista maschio. Quanta femminilità c’è in Leopardi o in Chopin o in De Pisis? Di questo traguardo sono testimoni le sei artiste invitate a rappresentare il tema prescelto: Binta Diaw, Amelia Etlinger, Bracha Lichtenberg Ettinger, Sara Leghissa, Muna Mussie, Nicoline Van Harskamp. Artiste distinte per provenienza, generazione, esperienza, appartenenza, ma che, nel valore condiviso della solidarietà, affrontano le questioni fondamentali per l’umanità, non per le donne soltanto, del colonialismo, della migrazione, dei diritti individuali, della marginalità, dell’identità, dell’attivismo, della geopolitica, della guerra.

Particolarmente notevole, in questi tempi di intolleranza e di discriminazione antisraeliana, la presenza di una grande artista di Tel Aviv, Bracha Lichtenberg Ettinger, che è non solo pittrice, ma psicoanalista, filosofa, teorica dell’arte contemporanea militante femminista nella individuazione dei principi di trauma, oblio e sguardo, sintetizzati nella teoria del «matrixial» o «matriciel» (matriciale). Attraverso la pittura dipinti, i disegni e i quaderni, la Ettinger evoca immagini tormentate e dissolventi di personalità mitologiche femminili mortificate (come Euridice, Medusa, Ofelia e Persefone), ma elabora anche i traumi delle donne in tempo di guerra. Contro dichiarazioni antisemite la Ettinger, dopo il 7 ottobre, si è dimessa dal comitato organizzatore della prossima edizione di Documenta. Questa la sua lettera di rinuncia «Cari colleghi, con la presente mi dimetto formalmente dal comitato di ricerca di Documenta 16... Il mondo dell’arte come lo vedevamo è crollato e frammentato: a cosa può contribuire l’arte nei nostri tempi bui? La questione del significato dell’essere umano è strettamente legata al significato dell’arte. Gli artisti non esistono come accessori decorativi per la politica. La funzione dell’arte non è estetizzare le idee politiche (W. Benjamin); poi ho citato Paul Celan e ho continuato con queste righe dei Salmi che esprimono la mia paura: “L’abisso chiama l’abisso. E il mio cuore è uno spazio ferito”.

Le parole e le metafore non sanguinano, ma il loro impatto può far sanguinare. La situazione in Medio Oriente è tragica. Civili innocenti hanno sofferto e sono morti, e il mio cuore piange per ogni morte. Ogni vita è preziosa. Durante il nostro ultimo incontro pochi giorni dopo il massacro di Hamas che diede inizio alla tragica guerra, i dettagli del massacro di Hamas e del rapimento di civili, donne e civili israeliani balenarono sul mio schermo trasmesso. Abbiamo tempo, possiamo cambiare il programma, lasciare che la sofferenza e il tormento si manifestino. Possiamo prenderci il nostro tempo. È ora di lamentarsi, Kaddish. È tempo di lamentarsi, “Stabat mater dolorosa... O quam tristis et afflicta fuit illa benedicta Mater”. È tempo di fermarsi, riflettere e concentrarsi nuovamente su nuove visioni e riflettere sulla possibilità di affrontare la dimensione dell’arte... La futura Documenta è stata nella mia mente ininterrottamente negli ultimi sette mesi. Purtroppo oggi sento di non poter più contribuire a questo processo». È molto importante che sia a Biennale donna. La sua presenza a Ferrara, città consacrata alla convivenza con il popolo ebraico, è una vera testimonianza di libertà e di solidarietà, nel contesto della autonomia femminile.

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