Roberto Cingolani
Il ministro Roberto Cingolani (Ansa).
Politica

La battaglia sull'innovazione non si vince abbattendo la storia

Il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, intervenendo in un approfondimento del Tg2, il 24 novembre ha tenuto a ricordare che «in 12 anni di scuola» si dovrebbe smettere di «studiare tre o quattro volte le guerre puniche» perché «l'innovazione è l'unica strada per vincere tutte le sfide del futuro».

Ci risiamo. Qualche anno fa Giulio Tremonti disse che con la cultura non si mangia, salvo poi smentire a più riprese di averlo detto, così come in altri momenti Matteo Renzi suggerì di levare I Promessi Sposi da scuola per salvaguardarli. Oggi è il turno della storia romana, messa alla berlina in favore di un'istruzione «un po' più moderna». La storia si ripete e basterebbe questo per dar prova che studiarla è necessario.

Ancora una volta quindi un esponente del governo, o comunque una figura politica di peso, parlando di scuola decide di dividere i saperi, mettendoli in contrapposizione, citando «standard internazionali» e picconando la cultura umanistica. Con poca precisione, peraltro, perchè se le guerre puniche si studiano tre o quattro volte significa che si è perso qualche anno. Le riforme dei programmi scolastici infatti, lontane dall'essere perfette, fissano lo studio della civiltà romana in quinta primaria e in seconda superiore. Per cui due volte si leggerà di Annibale e di Scipione l'Africano, non quattro.

Così come, sempre seguendo la dichiarazione del ministro, gli anni dell'istruzione previsti dai cicli scolastici sono ancora 13, e non 12 come afferma Cingolani, nonostante la riforma delle scuole superiori sia una tentazione molto forte per il ministro Patrizio Bianchi, per riallinearsi all'Europa, certo risparmiando molto denaro e contraendo i programmi, perché un anno in meno non è poco. Per inciso, anche gli stipendi dei docenti avrebbero urgenza di essere riallineati all'Europa, ma per questo pare ci sia meno fretta.

Non è puntiglio retorico, non sono puntini sulle «i». Al contrario, sono chiarimenti necessari perché chi parla è un ministro della Repubblica e ogni sua dichiarazione, corretta o meno, ha grande eco, fa discutere, fa pensare a come si stia muovendo l'esecutivo. In questa dialettica, come spesso capita, riaffiora il tema della selezione. Inglese è utile e latino no, matematica sì e arte no, e nel gioco al massacro le discipline umanistiche sono sempre quelle che ci rimettono, perché non sono utili, perché non ci si mangia appunto, perché non aumentano la produzione, perché sono vecchie, perché basta sono superate dall'inglese, dal digitale.

Ecco, basta con queste opposizioni. Basta con questa cultura della scelta, o questo o quello. La vita è associare, avvicinare. Et…et, non aut…aut. Certo, ripensare la scuola sottraendo ai ragazzi un anno di studi non aiuta ad addizionare, per cui se si parla di scuola occorre capire che ruolo sociale le si assegna. Se è un incubatore di futuri lavoratori, o un'agenzia di crediti utile per il collocamento, o un costo enorme per la spesa pubblica, allora diciamocelo senza riempirci la bocca di belle parole e di cultura della conoscenza. Se è altro, invece, rimbocchiamoci le maniche, apriamo i portafogli e dedichiamoci a ciò che è bene che i nostri ragazzi conoscano, sperimentino, sappiano, amino, disprezzino, traducano, calcolino.

In tutto questo, l'oggetto del contendere, le guerre puniche e la loro inutilità è davvero un argomento debole, perché studiando quelle vicende si entra a contatto con le tematiche dell'imperialismo, dell'accumulo, dell'ambizione personale che supera la ricerca del bene comune, fino all'insano gusto di annientare il nemico spargendoci il sale sopra, gesto che equivale alla bomba atomica dell'antichità. È una storia interessante, appassionata e truce che parla di noi e che ancora oggi ha da insegnare. Perché la storia siamo noi, nessuno si senta escluso.

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