Per i Comuni le sanzioni stradali, autovelox in testa, sono diventate il modo più immediato per fare cassa (1 miliardo e 600 milioni all’anno) e ripianare i bilanci. Ma senza trasparenza sull’effettivo impiego di queste risorse.
Un chilometro orario in più e, nonostante la minima soglia di tolleranza, c’è la mannaia dell’autovelox che fotografa l’infrazione. E scatta la sanzione. Oppure un parcheggio un po’ troppo azzardato, al di fuori del consentito, ed ecco che passa l’ausiliare del traffico per prendere nota della targa e far recapitare la multa. Una pena pecuniaria giusta, perché il codice della strada va rispettato per la sicurezza di tutti, come viene ripetuto.
Ma ci sono altre prescrizioni da rispettare, dal lato istituzionale, nel caso dei Comuni e degli enti locali in generale. E questo non sempre accade. Tanto che c’è un legittimo sospetto: negli anni i cittadini si sono trasformati in un bancomat per i Comuni, che fanno cassa con le sanzioni, facendo di necessità virtù rispetto ai tagli.
L’ammissione è arrivata direttamente dall’ex ministra delle Infrastrutture, Paola De Micheli, rispondendo ai rilievi del deputato di Forza Italia, Simone Baldelli, che ha fatto della trasparenza sulle multe una sua battaglia, pubblicando anche il libro Piovono multe. Con un intervento in tal senso «potrebbero esserci gravi problemi di natura economico-finanziaria per le Province e i Comuni», fu la sintesi del discorso di De Micheli, proposto in audizione alla Camera, in commissione Trasporti, a ottobre 2019. «Il punto» aggiungeva l’allora ministra «è che non si può neppure fare un atto senza avere chiara la valutazione dell’impatto che quell’atto amministrativo avrà sui destinatari».
Una sostanziale ammissione: le multe servono a mettere in ordine i bilanci degli enti locali. In quel caso la ministra ha preferito prendere tempo. Da allora sono trascorsi due anni e non c’è stato alcun cambiamento. Del resto il «mercato delle multe» è una gallina dalle uova d’oro. Secondo una stima, vale intorno al miliardo e 600 milioni di euro all’anno, con un calcolo difficile perché le sanzioni, in caso di mancato pagamento, diventano cartelle esattoriali. Ci sono, tuttavia, dati che parlano chiaro: nel 2019, solo conteggiando le città più importanti, si arriva sui 600 milioni di euro.
Un’elaborazione di OpenPolis rivela che il Comune di Milano ha ottenuto introiti per 178 milioni di euro, con un’entrata pro capite pari a 128 euro annui, mentre a Roma la cifra totale arriva a 170 milioni, che rapportata agli abitanti diventa 60 euro pro capite. E così a seguire ci Torino, con quasi 50 milioni, Bologna e Firenze tra i 47 milioni e i 46 milioni (con peso pro capite variabile tra i 120 e 125 euro). Più giù c’è Napoli con oltre 36 milioni di euro arrivate in bilancio.
Ma il vero record appartiene al Comune di Colle Santa Lucia, provincia di Belluno, dove gli introiti pro capite sono stati di 1.516 euro. Numeri simili a quelli di Roseto Capo Spulico (Cosenza): le sanzioni hanno avuto un peso pro capite superiore a 1.500 euro.
La questione non è la legittimità delle pene pecuniarie, irrogate di fronte a comportamenti non rispettosi della legge. C’è un punto ineludibile: la trasparenza sul corretto impiego di queste risorse.
Secondo la legge, infatti, la metà dei proventi delle multe elevate deve essere destinata alla sicurezza e alla manutenzione stradale, mentre l’altra metà può essere spesa per scopi diversi. Ancora più stringente, poi, è la normativa sulle multe comminate dopo segnalazione degli autovelox: quelle cifre dovrebbero essere impiegate totalmente per la sicurezza delle strade. E proprio sul capitolo autovelox c’è lo scandalo maggiore: da anni si attende un decreto attuativo che renda trasparente l’impiego delle risorse provenienti dalle sanzioni per eccesso di velocità. Al contrario non sono mancati colpi di mano.
Nel biennio 2017-2018 c’è stata una deroga sull’obbligo di impiego dei proventi relativi alle multe degli autovelox. Nelle scorse settimane, durante l’iter parlamentare del decreto legge Trasporti, c’è stato un altro tentativo, poi fallito, di inserire una norma simile. Anzi in quel provvedimento è contenuta una piccola rivoluzione, voluta dal «solito» Baldelli: dal 2022 i Comuni sono tenuti a pubblicare sul proprio sito una relazione annuale sulle somme e sull’utilizzo dei proventi delle multe dell’anno precedente.
Su questo tema ci sono oggi numeri ufficiali, ma non disponibili sui siti istituzionali. E se si reperiscono, talvolta, sono inseriti in maxi voci di bilancio. Il ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, ha quindi fornito le cifre sulle rendicontazioni giunte al suo dicastero da Comuni, Province e Città metropolitane. Per il 2019 non sono arrivate 1.531 rendicontazioni, una cifra aumentata nel 2020: mancano all’appello i dati di 2.747 amministrazioni.
La dimenticanza non è proprio secondaria: la legge in vigore prevede infatti che l’inadempienza sulla trasmissione dei dati al ministero comporti la decurtazione del 90 per cento delle somme ricavate dalle multe. Su questo punto la risposta di Giovannini è stata quantomeno dilatoria: «Terminati i riscontri con le prefetture, si potranno attivare le procedure amministrative nei confronti dei comuni inadempienti, propedeutiche all’eventuale segnalazione al procuratore regionale della Corte dei conti per la mancata trasmissione della relazione».
Una risposta che non ha certo convinto Baldelli. «Le battaglie sulla trasparenza e sulla legalità in tema di proventi delle multe da codice della strada e di regolamentazione degli autovelox che portiamo avanti da anni, tra un governo e l’altro, di fronte a difficoltà e resistenze di ogni tipo, puntano a rafforzare la sicurezza stradale» dice a Panorama il deputato. Una delle proposte è l’introduzione di meccanismi di premialità: «I Comuni virtuosi sono quelli che fanno meno multe, si deve incentivare la sicurezza e il rispetto del Codice della strada, non il Far west delle sanzioni» è la sintesi della proposta.
A pagare nel frattempo sono ovviamente i cittadini. «Purtroppo da anni denunciamo che i comuni hanno deciso di fare cassa sugli automobilisti, considerandoli polli da spennare» spiega non a caso Massimo Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori. «Invece di rafforzare la sicurezza, talvolta la peggiorano pur di incassare».
E non c’è solo l’autovelox: «Un classico esempio sono anche i famosi semafori-vampiro: dopo aver installato l’apparecchiatura riducono la durata del giallo a tempi assurdi e pericolosi». La soluzione? «Sono urgenti modifiche al Codice della strada a cominciare da dall’art. 208, per stabilire che tutti i proventi delle multe devono essere destinati solo ed esclusivamente alla sicurezza stradale».
Intanto le multe continuano a essere un enorme affare più che un limite alle infrazioni: «Basta il dato di quante ne vengono comminate per divieto di sosta e per le ztl, circa l’80%» conclude Dona «e quante invece per le infrazioni pericolose, come precedenze, distanza di sicurezza, guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, guida in stato di ebbrezza, uso del telefonino: praticamente il nulla cosmico».