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Renato Balduzzi (Ansa)
Salute

Balduzzi: «Non siamo al liberi tutti: ora serve attenzione sanitaria»

«Gli otto miliardi messi a disposizione della sanità dal Pnrr rappresentano una dotazione irrinunciabile e inimmaginabile appena due anni addietro». È ottimista, Renato Balduzzi. Riguardo alla sconfitta del virus, però, per il costituzionalista della Cattolica e ministro della Salute nel governo Monti, «occorre rimanere assolutamente guardinghi, perché la pandemia continua a galoppare anche alle nostre latitudini: sta a noi impedire che il virus torni a scalare le montagne della terapie intensive e della rianimazione». E proprio l’occasione della fine amministrativa dello stato di emergenza è servita all’ex titolare della salute per tastare il polso al Sistema sanitario nazionale, tra principi costituzionali centralistici e spinte regionalistiche.

Dopo la pubblicazione del decreto legge n. 24 del 24 marzo 2022 recante «Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da Covid-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza», avvenuta sulla Gazzetta Ufficiale n. 70, è entrato ufficialmente in vigore, dal 25 marzo, il provvedimento con cui il legislatore gestirà la successiva fase, quella del ritorno alla normalità. Terminano, così, due anni di “stato di emergenza” più volte prorogato: un alternarsi di applicazione e allentamento di misure spesso fortemente limitative delle libertà e dei diritti individuali.

Renato Balduzzi, alessandrino nato a Voghera, classe 1955, è ordinario di diritto costituzionale e diritto pubblico comparato nel Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università Cattolica di Milano, dopo aver insegnato nelle Università di Genova e del Piemonte Orientale. Esperto di Diritto costituzionale della salute e di diritto sanitario, è stato, dal 2011 al 2013, a capo del dicastero della salute, nominato nel governo presieduto da Mario Monti: deputato al Parlamento, è stato membro laico, tra il 2014 e il 2018, del Consiglio superiore della magistratura. Panorama.it lo ha incontrato per capire come, tra alterne vicende, il Sistema sanitario nazionale abbia affrontato la terribile prova della pandemia.

Professore, il sistema, nel suo complesso, pare abbia retto…

«I fatti lo confermano. Nel corso di questi lunghi due anni, tra le tante drammaticità, abbiamo almeno riscoperto l’importanza del Servizio sanitario nazionale, al quale dobbiamo essere grati per aver rappresentato, nel corso di 44 anni dalla sua entrata in vigore con la legge n. 833 del 1978, il vero argine per la tenuta della sanità pubblica».

Da poche ore è terminato lo stato di emergenza sanitaria…

«Che non significa ancora “liberi tutti”! Proprio da oggi, confrontandoci con l’allentamento delle misure restrittive, saremo tutti naturalmente portati a liberare i nostri comportamenti, soprattutto in pubblico. Si tratta di una fase di passaggio assolutamente delicata, evidenziata anche dalla circostanza che gli scienziati stanno continuando a lavorare su nuovi dispositivi vaccinali e farmacologici da testare sulle varianti che certo non abbandoneranno il campo».

Insomma, lo sguardo è ancora proiettato al futuro…

«La pandemia verrà sostituita - il passaggio non è ancora avvenuto - dall’endemia della malattia, e l’emergenza sanitaria (e sottolineo sanitaria) sarà un dato imprescindibile della nostra vita quotidiana. Come per la stessa terminologia medica, un tempo riservata agli studiosi, oggi entrata largamente nel nostro linguaggio».

A proposito: la vulgata popolare relega la nuova variante Omicron 2 a un semplice raffreddore…

«C’è da stigmatizzare chi continua a sottolineare questa linea interpretativa: dati alla mano (il numero dei contagi quotidiani, quello dei ricoveri in terapia intensiva, e - purtroppo - quello dei decessi…), quest’espressione continua a non corrispondere alla realtà, anche a causa dall’incredibile trasmissibilità del virus e della sua resistenza anche a tre dosi vaccinali».

Allora cristallizziamo questa fase di passaggio!

«La fine dell’emergenza burocratico-amministrativa, che comporta positive conseguenze sulla nostra vita in termini di allentamento di restrizioni, non significa fine dell’emergenza sanitaria intesa come eradicazione del virus. Questo è il dato da cui partire sin da oggi».

Torniamo al dato politico del sistema sanitario. Le spinte centrifughe non sono mancate…

«È riemersa la volontà di chi, nel tempo, ha sempre cercato di contrapporre al modello pubblico, tipico del Ssn - fondato sui principi e valori dell’universalismo, della globalità, dell’accessibilità delle prestazioni, della portabilità del diritto alla salute sull’intero territorio nazionale in condizione di uguaglianza - un modello diverso, caratterizzato dalla riduzione dell’impegno pubblico e dall’espansione delle polizze assicurative. Insomma, un modello direi “privatistico” della gestione della salute».

Si riferisce all’idea di destrutturare il Servizio sanitario nazionale?

«In particolare al regionalismo differenziato, ai sensi del terzo comma dell’art. 116 Cost., che avrebbe comportato la destrutturazione del Servizio sanitario nazionale. Proprio la rinnovata attenzione per la sanità pubblica in questi due anni di pandemia è diventata lo stimolo per consentire a un maggior numero di addetti ai lavori di comprendere natura, organizzazione e funzionamento del Ssn».

Sul tema le incomprensioni pare non si plachino…

«Inutile negare le interminabili discussioni di questi mesi su ciò che spetta allo Stato e ciò che spetta alle Regioni e agli enti locali al netto anche delle prese di posizione, talvolta meramente propagandistiche, regionali, che avrebbero potuto essere evitate ove soltanto vi fosse stata una maggiore consapevolezza delle reali caratteristiche del sistema italiano, a partire dalla sua stessa definizione ed esistenza».

Professore, salga in cattedra: cos’è il Servizio sanitario nazionale?

«Procediamo per gradi. Non è definito dalla Carta costituzionale, che ne pone, però, tutte le premesse all’articolo 32, per il quale è compito della Repubblica tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo e altrettanto fondamentale interesse della collettività, e garantire cure gratuite agli indigenti. Per lo svolgimento di tale compito, l’articolo 117 della Costituzione originariamente affidava alle Regioni a statuto ordinario la competenza legislativa in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera, da esercitarsi nell’ambito dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato».

Per la sua nascita avremmo dovuto attendere sino al 1978…

«Grazie alla legge n. 833, che diede seguito alla previsione costituzionale del citato art. 32, si scelse un modello di tutela universalistica, ampliando la portata del riferimento agli indigenti, una formula che peraltro già durante i lavori dell’Assemblea costituente venne intesa in senso relativo e non assoluto. La normativa statale di trasferimento delle funzioni ha interpretato estensivamente la locuzione “assistenza sanitaria e ospedaliera” riferendola, infatti, alla prevenzione, all’igiene e alla sanità pubblica, parallelamente ad analoghe espressioni contenute in alcuni statuti regionali speciali».

Dopo 20 anni, la riforma del 1999.

«Che puntualizzò il Servizio quale “complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti e istituzioni di rilievo nazionale”. si diede corpo a una redistribuzione delle funzioni pubbliche nell’ambito del decentramento amministrativo e del dibattito politico sul federalismo».

Altra tappa importante nel 2001.

«Grazie alla revisione costituzionale del Titolo V della Costituzione venne assegnata la “competenza della tutela della salute” alla potestà legislativa regionale concorrente: in realtà, tale innovazione non fece altro che confermare quanto già pacificamente vigeva».

Agli enti territoriali fu assegnata l’organizzazione dei servizi sanitari…

«Esattamente. La legge istitutiva del Ssn, infatti, aveva indicato nei comuni e nei loro organismi operativi, le “Unità sanitarie locali”, le strutture cui conferire rispettivamente le funzioni di responsabilità politica e dei livelli di assistenza nell’ambito della programmazione nazionale e regionale. Solo al termine di un’articolata e talvolta sofferta evoluzione, proprio le Regioni divennero il baricentro dell’organizzazione e della gestione dei servizi sanitari».

Il localismo visto come chiave di svolta.

«I comuni al centro del fondamentale bisogno di salute, enti di programmazione territoriale e di controllo dei vertici delle aziende sanitarie, alle quali venne affidata l’erogazione delle prestazioni e dei servizi. Se oggi vogliamo attuare l’integrazione sociosanitaria, dobbiamo recuperare il ruolo dei comuni».

In sintesi: rilevanza concorrente dei Servizi sanitari regionali e degli enti di rilievo nazionale.

«Mi riferisco a Enti e istituzioni che spaziavano (e spaziano tutt’ora) nello spirito della norma, tanto nei settori delle scienze della salute e dell’ambiente (pensiamo all’Istituto Superiore di Sanità), quanto in quello delle scienze dell’organizzazione sanitaria (pensiamo al ruolo svolto sino all’adozione del cosiddetto Programma nazionale Esiti da parte dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) per concorrere in misura determinante alla fisionomia del sistema».

Innovazioni di grande respiro.

«Basate sul principio della sussidiarietà verticale e su quello della leale collaborazione. Né vanno dimenticati enti che pur essendo a tutti gli effetti inquadrati all’interno dei Servizi sanitari regionali, concorrono ad un apporto significativo del livello statale, come nel caso degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico».

Un decreto legge del 2012 porta il suo nome…

«Il decreto numero 158, che innovò 14 settori della sanità pubblica, nel segno di una evoluzione (rivoluzione, nda) in tema di salute pubblica. “Assistenza sanitaria territoriale” come riorganizzazione delle cure primarie e della medicina generale, “intramoenia” seria come riorganizzazione, dopo un decennio, dell’attività medico-professionale all’interno delle strutture pubbliche; contenimento della “medicina difensiva” che determinava la prescrizione incontrollata di esami diagnostici inappropriati al solo scopo di evitare responsabilità civili o penali».

Alcuni settori hanno inciso a livello socio-politico.

«Come la “trasparenza nella scelta di direttori generali e primari”, privilegiando il più possibile il merito e riequilibrando il rapporto tra indirizzo politico e gestione delle aziende sanitarie, o l’individuazione dei nuovi “livelli essenziali di assistenza”, la limitazione alla “vendita dei tabacchi” con divieto ai minori di anni 18 e innalzamento delle sanzioni, oppure le linee-guida per i “certificati per l’attività sportiva amatoriale”, la predisposizione dei defibrillatori salvavita, la lotta alle “ludopatie” come prevenzione sociale e la “sicurezza alimentare e sanità veterinaria”».

Altre novità più specifiche riguardarono il settore medico-farmaceutico.

«L’aggiornamento del “prontuario farmaceutico” per l’utilizzazione di farmaci sempre più competitivi, l’impulso dato all’ “edilizia ospedaliera”, la stabilizzazione dell'"Istituto nazionale migrazioni e povertà” e, soprattutto, in tema di ricerca scientifica, le nuove regole per il riconoscimento e la conferma degli “Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico” e quelle in tema di “assistenza sanitaria” al personale navigante aereo e marittimo».

Nei prossimi mesi, intanto, attenderemo le risorse del Pnrr.

«Che richiederà attenzioni maggiori e correttivi idonei, soprattutto ora che ci confronteremo con le opportunità offerteci: occasione unica, se pensiamo che l’Europa ha messo a disposizione risorse semplicemente impensabili sino a qualche anno fa. Se solo rifletto per un attimo alla mia esperienza alla guida del dicastero della salute, allorquando quasi ad ogni Consiglio dei ministri c’era la necessità di difendere le risorse destinate alla sanità e le riforme dovevano essere a costo zero, mi rendo conto del rovesciamento del sistema: avremo il problema di come utilizzare al meglio le notevoli risorse disponibili».

Il Covid ha messo a nudo una qualche confusione normativa.

«Le regole ci sono tutte, lo affermo da studioso, prima ancora che da ex ministro: non è necessario modificare la Costituzione e neppure buona parte della legislazione ordinaria, ma si devono applicare bene le normative di settore. Intanto mi risulta che il Ministero stia investendo molto sui Contratti istituzionali di sviluppo, cioè sugli accordi con le regioni per realizzare al meglio gli obiettivi della Missione 6 del Pnrr, quella per intenderci che contiene tutti gli interventi a titolarità del Ministero della Salute».

Ad esempio?

«Si va dalle Case della comunità per la presa in carico della persona, alla casa-dimora del paziente come primo luogo di cura, alla telemedicina, all’ammodernamento degli ospedali».

Il Pnrr non è solo risorse, chiede anche rigida governance.

«Monitoraggio, verifica, controlli: un coordinamento “forte” che spero riesca a superare le vecchie logiche della supervisione cartacea o di distribuzione “a pioggia” delle risorse. D’altronde, la governance del Pnrr si fonda su solide basi, esigendo controlli e prestazioni da parte del centro e, ovviamente, delle regioni, chiamate a giocarsi la propria autonomia verso l’alto, come capacità di concorrere all’insieme, e non come sterile rivendicazione di competenze».

La sanità, nel nostro Paese, viaggia ancora a più velocità…

«Risorse del Pnrr e valorizzazione del nostro Ssn potranno ridurre drasticamente le disuguaglianze: non dimentichiamo che almeno il 40% degli otto miliardi a disposizione della sanità è destinato alle regioni meridionali. Su questa dotazione miracolosa pesano due incognite: il rischio di dispersione burocratica e le infiltrazioni della criminalità organizzata. Se prevarranno, fra qualche anno ci ritroveremo a discutere degli stessi problemi e delle occasioni mancate».



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