Gli hacker cinesi vogliono i nostri computer?

Baidu è un motore di ricerca made in Cina, nel senso che è stato sviluppato interamente da tecnici nazionali e diretto principalmente ad utenti residenti nel paese a matrice socialista. Alla fine del 2007 Baidu, il “Google d’Oriente”, è stata la prima compagnia cinese ad entrare nell'indice NASDAQ-100 e nel settembre del 2010 entra a pieno titolo nel sistema di statistiche di Alexa, piazzandosi sesto. Non è un segreto che Baidu dia molta importanza alla censura, seguendo pedissequamente le indicazioni che vengono “ dall'alto”, bloccando sul nascere ogni tipo di contenuto che si possa ritenere offensivo, nel contesto culturale e politico cinese. Baidu non permette che vengano visualizzati risultati di ricerca con contenuti scomodi al governo centrale, tant’è che la stessa Google si era mossa per mobilitare l’opinione pubblica su un tipo di internet filtrato che non rappresenta la realtà dello stato d’animo della rete libera.

Per capire il grado di penetrazione di Baidu in Cina basta citare un articolo di Jonathan Margolis tradotto a gennaio dello scorso anno da Internazionale . Il giornalista spiega come può accadere che nelle piazze a Wi-Fi gratuito della Cina spesso Google sia accessibile; solo che i ragazzi sono stati talmente educati a non utilizzare il motore di ricerca statunitense che lo ignorano del tutto anche quando potrebbero utilizzarlo liberamente. Il problema è che Baidu viene considerata da molti la “finestra della Cina sulla Cina stessa” e non sul resto del mondo. È come essere davanti ad uno specchio e fregarsene di quello che succede al di là della porta di casa. I recenti avvenimenti di sicurezza informatica hanno messo in evidenza una forte propensione del governo cinese nel collaborare con gruppi organizzati nel colpire obiettivi “nemici” in remoto. Il caso del gruppo di hacker APT1, che sarebbe collegato con una divisione dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese, ha fatto conoscere a tutto il mondo la strategia bellica 2.0 della Cina, anche se da Pechino il Governo continua a dire di non sapere nulla di quello che sta accadendo.

Il report di Mandiant sulla vicenda ha tolto il tappo a quello che il governo cinese stava tentando di fare da anni, forse decenni: studiare, monitorare e violare i sistemi informatici occidentali per eliminare tutti i dati possibili, non prima di averne preso una bella copia. Alla notizia odierna, diffusa solo qualche ora fa, del lancio di un antivirus gratuito da parte di Baidu il dubbio sorge. Perché il re indiscusso della ricerca cinese ha prodotto un antivirus in lingua inglese disponibile al download gratuito per tutti? Nella logica del web statale, l’azienda avrebbe potuto sviluppare un antivirus, ma in lingua cinese e rivolto solo ai propri utenti. Da un lato potrebbe esserci una strategia di marketing più ampia è vero, diretta a conquistare nuovi mercati e più utenti, ma non sarebbe tutto così semplice.

A gennaio Baidu aveva lanciato il software Baidu PC Faster, una suite per risolvere problemi di prestazioni del proprio computer. Poco dopo è arrivato il Baidu Cloud Developer Center in inglese e la possibilità di ricevere supporto ai prodotti anche in lingua non cinese. A questo punto bisogna credere alla nuova politica di internazionalizzazione che sembra aver intrapreso Baidu o c’è il rischio di affidare le sorti del proprio computer ad un’azienda che più di una volta si è trovata fianco a fianco dello stato socialista e delle sue lotte anti-occidentali? Il consiglio è che di antivirus gratuiti ce ne sono a bizzeffe, e aspettare per vedere come andranno le cose non è poi un gran male.

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